giovedì 3 marzo 2016

Repubblica 3.3.16
I verdiniani sono in maggioranza e vogliono restarci a lungo
Il partito del premier cerca alleati per la prossima legislatura
Il confronto tra pro-Renzi e anti-Renzi sarà a un passaggio cruciale Il drappello dei centristi servirebbe a calmierare i rapporti nel Pd
di Stefano Folli

ANCHE sul reato di omicidio stradale Denis Verdini è arrivato al Senato in soccorso di un centrosinistra traballante. Si dirà che questo dipende dalla particolare situazione di Palazzo Madama: a Montecitorio dove i numeri della maggioranza sono solidi grazie al premio elettorale, il gruppo dei verdiniani conta poco. Ma se anche fosse così, il sistema italiano è ancora bicamerale e laddove i voti servono, Verdini è disponibile.
Nessuno stupore. Ormai il suo gruppo di transfughi dalla destra non solo è in maggioranza, ma intende pesare ogni volta che è possibile. Qualcuno insiste nel vederlo come una cinghia di trasmissione fra Renzi e Berlusconi. L’uomo che tiene i rapporti dietro le quinte e prepara il terreno a una futura riedizione del Patto del Nazareno. La realtà però è un’altra. Verdini sta coltivando un’ambizione più alta. Il suo vero interlocutore adesso è Renzi, prototipo del politico pragmatico e del tutto post-ideologico. Perché stupirsi allora dell’appoggio dichiarato a Sala a Milano e Giachetti a Roma? Sono i candidati del “partito di Renzi” ed è logico che Verdini li appoggi proprio quando ha deciso di seguire una sua strategia. Si capisce quale. Il baricentro renziano non è previsto del tutto autosufficiente. Il presidente del Consiglio regna e governa, sostenuto dalla logica dell’Italicum, e tuttavia ha bisogno di alleati in Parlamento. Almeno un alleato, purché sia fidato e abile a evitare le trappole non meno che a risolvere i problemi. In altre parole, quello che Verdini sta facendo nelle ultime settimane - e che si propone di garantire fino al termine della legislatura dovrebbe continuare a farlo anche nel nuovo Parlamento. Ma in che forma, considerando che il gruppo dei trasformisti non ha voti ed esiste unicamente in virtù delle capacità manovriere del capo?
Non è un caso che Verdini fosse un tempo favorevole a correggere l’Italicum con il premio alla coalizione anziché alla lista vincitrice. C’è stato un momento in cui Renzi sembrava quasi convinto; adesso invece siamo tornati al principio originario: premio al partito che da solo supera il 40% oppure vince il ballottaggio. Se a Palazzo Chigi non cambieranno idea, ecco che il potere e l’influenza delle altre liste sarebbero poca cosa. Non solo: se si considera che ovviamente Verdini non entrerà nel Pd, si deve concludere che nella prossima legislatura il “risolutore” è destinato ad avere un ruolo di scarso rilievo.
EPPURE non pare proprio sia così. In forme tuttora poco chiare, si lavora per creare un gruppo centrista capace di ritagliarsi uno spazio nel sistema monocamerale che debutterà con il nuovo Parlamento (beninteso, se Renzi vincerà il referendum di ottobre). È uno schema diverso da quello a cui pensano figure come Zanetti di Scelta Civica o Tabacci: creare una pattuglia che trova spazio nelle liste del Pd caratterizzandosi in una chiave più moderata rispetto alla “vulgata” renziana. Viceversa chi in quelle liste non sarà comunque presente, come Verdini e i suoi amici, deve trovare un altro modo per essere utile al premier. Il tentativo sarà quello di superare la barriera del 3% fondendo le varie anime centriste: da Alfano a Casini ai vari sostenitori della “terza forza” variamente declinata.
Non sarà per nulla facile, anche perché Alfano, ministro dell’Interno, difficilmente accetterà intrusioni. Tuttavia potrebbe essere una via obbligata. Nella prossima legislatura il confronto fra pro-Renzi e anti-Renzi arriverà al passaggio cruciale. Oggi sono scaramucce, finalizzate a garantire alla minoranza Pd un’adeguata rappresentanza nelle liste elettorali. Ma dopo il voto una Camera in cui il presidente del Consiglio avesse i voti previsti dall’Italicum, si espone a vari rischi. Il “partito di Renzi” sarebbe esposto alle pressioni della minoranza. Il drappello dei centristi verdiniani servirebbe proprio a calmierare i rapporti interni al Pd, sostituendo quando fosse il caso i voti della sinistra. Un passo deciso verso nuovi assetti politici, ma in linea con quello che è successo nell’ultimo periodo.