Repubblica 31.3.16
La primavera triste delle banche
di Ferdinando Giugliano
APRILE,
scriveva Thomas Eliot, è il mese più crudele e, per il sistema bancario
italiano, rischia di esserlo sul serio. Dopo un breve letargo nella
seconda metà dell’inverno, le difficoltà che avvolgono i nostri istituti
di credito sono riemerse inesorabilmente in primavera.
Il sintomo
più evidente è la confusione che regna sul decreto che dovrebbe
ripagare alcuni degli investitori retail che hanno perso soldi nel
salvataggio di quattro piccole banche a fine 2015. Il governo aveva
promesso che le modalità di rimborso sarebbero state decise entro il 30
marzo, ma a ieri di queste indicazioni non c’era ancora traccia.
La
mancanza di rispetto dei tempi stabiliti su un tema così importante è
solo l’ultimo sintomo dell’approccio grossolano che troppo spesso
accompagna il modo di operare dell’esecutivo. Ma a lasciare perplessi è
anche il cambio di filosofia per cui sembrerebbe aver optato nelle
ultime settimane il governo. Gli arbitrati, affidati all’Autorità
nazionale anticorruzione, verrebbero rimpiazzati da un’operazione più
generale, volta a rimborsare una platea ampia di investitori.
Una
misura di questo tipo risolverebbe al governo parecchi problemi
politici, perché eviterebbe un fioccare di ricorsi e proteste alla
vigilia di un’importante tornata elettorale. Il prezzo sarebbe però una
clamorosa violazione del principio fondante del bail in, un meccanismo
per cui sono gli investitori, prima che i contribuenti, a pagare per le
difficoltà in cui dovesse venire a trovarsi una banca. Non è un caso che
questa operazione abbia attratto l’attenzione della Commissione
Europea.
Una possibile obiezione è che questi rimborsi
avverrebbero tramite il cosiddetto “fondo interbancario di tutela dei
depositi”, a cui contribuiscono le altre banche e non i cittadini. Ma
questi soldi sono destinati a salvare i correntisti sotto i 100.000 euro
in caso di future crisi bancarie: prenderli per ripagare degli
obbligazionisti vorrebbe dire aumentare il rischio che in futuro siano i
cittadini a dover pagare per il salvataggio di un istituto di credito
in difficoltà.
Qualsiasi rimborso dovrebbe invece essere deciso
caso per caso, per capire chi effettivamente sia stato truffato e chi
invece abbia cercato volutamente degli interessi un po’ più alti. Invece
di spazzare la polvere sotto il tappeto, il governo dovrebbe adoperarsi
per fare chiarezza su eventuali mancanze della vigilanza, soprattutto
per quanto riguarda la Consob che supervisiona la vendita di questi
prodotti. Sarà poi compito della magistratura sanzionare eventuali reati
penali.
I travagli delle banche italiane vanno però ben oltre
questa vicenda. A scricchiolare sono altri istituti di credito: da Monte
dei Paschi di Siena a Carige, ma soprattutto Banca Popolare di Vicenza,
impegnata in un difficile aumento di capitale da 1,75 milioni di euro
da cui potrebbe dipendere la stabilità di grosse porzioni del sistema
bancario. Il fallimento di questa operazione potrebbe avere conseguenze
molto serie su Unicredit, che l’ha garantita, oltre a innescare un
eventuale contagio in borsa difficilmente controllabile.
Le
operazioni di consolidamento, partite con la fusione tra Banca Popolare
di Milano e Banco Popolare, sono una condizione necessaria ma non
sufficiente per ristabilire la solidità del sistema del credito
italiano. A molte banche servono iniezioni di capitale fresco, che ne
migliorino la patrimonializzazione e le mettano in condizione di
prestare di più. Per questo, l’insistenza della Banca Centrale Europea
che il matrimonio tra Bpm e Bp sia accompagnato da un aumento di
capitale è benvenuta: meglio rafforzarsi subito che ritrovarsi problemi
più avanti.
Per le altre banche in difficoltà, e che non fossero
in grado di trovare partner in Italia, l’unica soluzione è aprirsi al
mercato estero. L’offerta del fondo americano Apollo per rilevare i
crediti deteriorati di Carige e al contempo acquisirne il controllo dopo
aver ripatrimonializzato la banca farà storcere il naso ai difensori
dell’italianità. Ma va misurata con l’unico metro possibile: la sua
appetibilità rispetto ad offerte che possono venire da altri
investitori. Carige, una volta risanata, potrebbe poi rientrare nella
partita del consolidamento del settore.
Le dimensioni del debito
pubblico italiano, oltre alle regole europee, rendono operazioni di
intervento diretto del Tesoro soltanto un’extrema ratio da cui, per
fortuna, siamo ancora lontani. Per il governo, la strada sta nel
continuare ad agevolare il processo di mutazione del settore, intrapreso
con la tanto attesa riforma delle banche popolari, ma che
richiederebbe, per esempio, una vera riforma della giustizia civile per
permettere alle banche di recuperare più velocemente le garanzie sui
crediti deteriorati.
Il rischio è che le prossime stagioni diventino ancora più crudeli di questa dura primavera.