Repubblica 31.3.16
Con il via libera dell’Onu si avvicina la missione contro terrorismo e scafisti
I governi europei si sono impegnati per un intervento a patto che ci sia una richiesta da un esecutivo legittimo
Soluzione che apre ad aiuti militari nel paese delle milizie armate
di Giampaolo Cadalanu
È
DIFFICILE non vedere una forzatura nell’arrivo di Fayez el Serraj con i
suoi ministri a Tripoli. Il premier guida un governo di unità nazionale
che però di unitario ha ben poco. È sgradito alla fazione tripolina di
ispirazione islamista, guidata da Khalifa Ghweil, che nei giorni scorsi
aveva imposto la chiusura dello spazio aereo proprio per impedire
l’atterraggio di Serraj. È ben lontano dall’ottenere il sostegno del
Parlamento di Tobruk, anche se un centinaio di deputati sarebbero
disposti a sostenerlo. In altre parole, sembra essere solo un governo
voluto se non imposto dalle Nazioni Unite. E adesso la sua presenza pone
domande e apre scenari di soluzione non facile.
LE OPERAZIONI MILITARI
La
missione navale europea battezzata Sophia (inizialmente chiamata
Eunavfor Med) prevede che le forze delle nazioni Ue intervengano nelle
acque territoriali libiche (fase 2B) e poi anche sul terreno (fase 3)
per contrastare gli scafisti e il traffico di esseri umani, a patto però
che ci sia «il consenso dello Stato straniero interessato», o una
richiesta delle Nazioni Unite. I governi europei sono propensi a
richiedere che siano presenti entrambe le condizioni e in questo momento
una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che dia il via libera non
sembra fuori portata. Ora dunque si pone un problema di altro genere: da
chi deve essere “riconosciuto” il governo perché sia rappresentativo
del paese costiero? Un riconoscimento dell’Onu di fatto metterebbe tutto
il potere decisionale sulla missione europea nelle mani del Consiglio
di Sicurezza.
LA NUOVA MISSIONE
Il riconoscimento da parte
delle Nazioni Unite darebbe al governo di Serraj un ruolo che va molto
al di là del consenso e delle effettive capacità di controllo nel suo
paese: la missione internazionale da mesi allo studio e le sue modalità
dovrebbero essere concordate appunto con l’esecutivo appena arrivato. Ma
per le nazioni disponibili a fare la propria parte, la debolezza del
governo sul terreno è un problema serio. In teoria, il via libera
dell’Onu apre la strada ad accordi che potrebbero portare anche a
richieste di aiuti militari in tempi molto brevi, e soprattutto molto
prima di una effettiva stabilizzazione della Libia.
LE NAZIONI EUROPEE
Gran
Bretagna, Germania e Francia, paesi interessati ad arginare il flusso
di immigrati irregolari e disponibili a far parte della missione,
sembrano al momento tutt’altro che entusiaste dell’idea di una
escalation dell’impegno, nonostante la “tirata d’orecchi” ricevuta nelle
scorse settimane da Barack Obama. La situazione di disaccordo sul
terreno, con la presenza di duecentomila miliziani armati divisi fra le
diverse fazioni e l’ombra dei cinquemila fondamentalisti dell’Is che
cercano di guadagnare terreno, lascia intuire che l’ipotesi di
operazioni militari brevi e decisive debba lasciare spazio alle
prospettive di un intervento lungo e costoso, in termini economici ma
soprattutto di vite umane. Il governo Cameron, criticato ferocemente in
questi giorni per il ruolo avuto da Londra nella deposizione di
Gheddafi, per ora si limita a «non negare» che istruttori britannici
sono già presenti in terra libica e a mandare l’incrociatore Enterprise
per contrastare l’azione degli scafisti, dando disponibilità all’invio
di motovedette della Guardia costiera ed elicotteri. Anche Berlino ha
spedito i suoi tecnici per dare assistenza, ma fermandoli in Tunisia.
L’ITALIA
L’entusiasmo
con cui il governo si è proposto alla guida di una missione
internazionale sembra del tutto tramontato. La Farnesina sottolinea che
bisogna offrire ai libici l’opportunità di costruire una pace, ampliando
la base del consenso al governo Serraj, purché questo avvenga in tempi
ragionevoli. Palazzo Chigi sembra disponibile solo a fornire assetti
tecnologici (cioè sostanzialmente cacciabombardieri e droni da usare
contro il sedicente Stato islamico), oltre a un numero limitato di
truppe speciali. L’idea dello sbarco di un contingente numeroso non è
presa in considerazione. Con i ricordi del passato coloniale, una
presenza italiana troppo rilevante potrebbe avere l’effetto di far
aderire anche le milizie “laiche” al fronte jihadista. Il problema è che
gli Stati Uniti premono perché l’Italia dia seguito ai suoi proclami. E
adesso persino una think tank come la Brookings ricorda all’Italia, con
un report appena pubblicato, che è suo interesse contrastare
l’influenza dell’Is in territorio libico.