Repubblica 30.3.16
L’equilibrio delle religioni
risponde Corrado Augias 
GENTILE
 Corrado Augias, alcuni commentatori auspicano il pluralismo religioso. 
Come non condividere? Ma per un non credente esso ricorda piuttosto un 
invito a tifoserie diverse, diciamo calcio e rugby, a non menar le mani 
in nome d’una squadra. Chi non è interessato al pallone ascolta 
perplesso e si chiede: ogni religione postula un proprio Dio con sue 
caratteristiche, la prima delle quali è di essere unico. Come si 
concilia l’unicità con la coesistenza? Una risposta è che le differenze 
consistono solo in dettagli formali: per esempio, alimentari e sessuali,
 modi di pregare, comportamenti quotidiani. Cioè la traduzione umana dei
 comandamenti divini con qualche libertà interpretativa. Dunque le 
regole di comportamento non sono divine, sono state scritte da persone 
autoproclamatesi rappresentanti della divinità. Quindi l’invito alla 
coesistenza deve essere rivolto soprattutto ai gestori della religione, 
lasciando da parte Dio. Nel frattempo i numerosi non credenti, 
disinteressati alla partita, ma vittime dei pretestuosi litigi, 
subiscono pazientemente.
Franco Ajmar — Genova (franco.ajmar@yahoo.it)
LE
 DIVISIONI tra i tre monoteismi sono vecchie di secoli e molto più 
numerose e gravi dei punti che pure le apparentano derivando tutte 
dall’originario ceppo ebraico. Non a caso si chiamano religioni 
abramitiche avendo in Abramo il progenitore comune. Si tratta di 
diversità non solo interpretative ma di sostanza, che riguardano i libri
 sacri di riferimento, gli usi, i riti, i rapporti tra i sessi, i 
comportamenti. All’interno stesso del cristianesimo esiste una frattura 
(scisma) tra cattolici e ortodossi che data dal 1054, e che nessuno 
finora è riuscito a comporre. La rottura avvenne sulla possibile 
derivazione dello Spirito Santo solo dal Padre oppure anche dal Figlio. 
Infatti la questione viene spesso riassunta nella formula sintetica 
“Filioque”, “e dal Figlio”. Nulla comunque rispetto alla divisione tra 
sunniti e sciiti nell’Islam che arriva tuttora all’omicidio e al 
massacro collettivo. In teoria, l’ente divino di riferimento dovrebbe 
essere comune a tutti ma questo non impedisce che i conflitti siano 
stati frequenti e spesso sanguinosi. Fino a oggi, per la buona volontà 
di qualche sant’uomo, non si andati al di là di alcune cerimonie comuni 
per invocare genericamente la pace o per celebrare un lutto. Non bisogna
 comunque confondere l’Islam con i fanatici assassini che seminano 
morte. Né bisogna troppo stupirsi se agli atti efferati non seguono 
manifestazioni pubbliche di dissociazione e protesta come avverrebbe, a 
parti rovesciate, in Europa. Le società islamiche non hanno ancora 
raggiunto un grado di sviluppo politico che includa l’aperto dissenso, 
l’ampia libertà dei comportamenti, la disinvoltura sessuale che 
caratterizza (vistosamente) le società occidentali. La reclamata 
copertura islamica degli attentati è quasi sempre un pretesto; sappiamo 
che le motivazioni reali sono diverse. La Jihad ha comunque fatto 
risorgere nelle società occidentali secolarizzate lo spettro delle 
guerre di religione che hanno insanguinato il nostro continente secoli 
fa e di cui pensavamo — credenti e non — di esserci liberati per sempre.
 
