il manifesto 30.3.16
Giappone, ora Abe può mettersi l’elmetto
Approvate le leggi per la sicurezza, via libera ai soldati di Tokyo all’estero
Il provvedimento cancella il pacifismo di stato giapponese, sancito nell’articolo 9 della Costituzione
di Marco Zappa
Tokyo
potrà inviare più agevolmente truppe all’estero. Le nuove leggi per la
sicurezza nazionale che rinforzano la cooperazione militare
internazionale del Giappone sono entrate ufficialmente in vigore ieri,
29 marzo. I provvedimenti giungono a sei mesi di distanza dalla loro
approvazione parlamentare, avvenuta tra le polemiche e le proteste
popolari, a settembre 2015.
La nuova legislazione permetterà al
governo giapponese di inviare i soldati all’estero in caso di chiara
minaccia alla sicurezza nazionale giapponese e a tutela del diritto
all’autodifesa collettiva sancito dalle Nazioni unite. I militari
giapponesi avranno anche più libertà d’azione in caso di scontri a fuoco
con forze nemiche che coinvolgano direttamente cittadini giapponesi o
truppe di paesi alleati. Si tratta del più importante cambiamento
nell’atteggiamento strategico del Giappone dal dopoguerra. È anche una
importante vittoria politica del primo ministro Shinzo Abe che dal 2012
cerca di rilanciare il paese anche in politica internazionale. Da una
parte c’è la lunga battaglia di Tokyo per modificare il proprio status
all’interno delle Nazioni unite.
A ottobre 2015, il Giappone è
stato eletto per l’undicesima volta a un seggio temporaneo. Ma la
leadership politica punta a ottenere al più presto un seggio permanente.
Dall’altra gli assetti strategici regionali, in un’area del mondo,
l’Asia Pacifico, sempre più coinvolta in una nuova corsa agli armamenti.
Secondo
uno studio del Peace Research Institute di Stoccolma, dal 2011 al 2015
la regione è al centro del mercato globale delle armi con il 46 per
cento del totale degli acquisti mondiali. A fine 2015, anche Tokyo ha
approvato un budget da record per la difesa da circa 42 milioni di
dollari. Dalla fine del 2013 il governo di Tokyo guidato dal
conservatore Abe ha orientato le proprie politiche verso il comparto
sicurezza, dando l’ok alla creazione di un Consiglio di sicurezza
nazionale su modello americano.
Ad aprile 2015, durante una visita
di una delegazione del governo di Tokyo a Washington, vengono
concordate tra i due governi nuove linee guida sulla cooperazione di
difesa tra Giappone e Stati uniti. Al centro di queste, un ruolo
accresciuto per il Giappone nell’ambito degli accordi di cooperazione di
difesa siglati nell’immediato dopoguerra. A distanza di poche
settimane, le nuove leggi di sicurezza nazionale approdano in
parlamento. La discussione politica si fa accesa e decine di migliaia di
persone, proprio in un periodo coincidente con il 70esimo anniversario
della fine della Seconda guerra mondiale in Asia, scendono in piazza in
tutto il Giappone contro le politiche di difesa del governo Abe.
Queste
– stando alle accuse delle opposizioni ma anche di categorie sociali
come costituzionalisti e avvocati – vanno a calpestare il pacifismo di
stato giapponese, sancito nell’articolo 9 della costituzione
postbellica. Le nuove leggi rischiano, questa l’accusa, di trascinare il
paese in nuove guerre americane come capitato in Iraq e Afghanistan
all’inizio dei 2000. La larga maggioranza di cui il partito
liberal-democratico, la prima forza politica nazionale, gode in entrambi
i rami del parlamento ha reso però reso possibile il definitivo via
libera alle nuove misure lo scorso settembre. Ieri il primo ministro
Shinzo Abe è tornato a difendere con forza i provvedimenti. «Il contesto
di sicurezza intorno al nostro paese è sempre più serio», ha spiegato
il premier nipponico in conferenza stampa con chiaro riferimento al test
nucleare dello scorso gennaio e ai recenti lanci di missili a corto e
lungo raggio da parte della Corea del Nord. «Nessun paese nel mondo può
proteggersi da solo», ha aggiunto Abe.
Anche se apprezzato dagli
Stati uniti, il nuovo atteggiamento di difesa del Giappone suscita
timori soprattutto in Cina e Corea del Sud. La mossa di Abe potrebbe
infatti minare la stabilità della regione. Forse anche in previsione di
ciò, Tokyo ha da poco nominato un nuovo ambasciatore a Pechino, Yutaka
Yokoi, studioso di Cina e perciò definito della «scuola cinese» della
diplomazia giapponese, già in passato console a Shanghai, mentre è
prevista una missione del ministro degli Esteri Fumio Kishida in Cina
entro la primavera.