mercoledì 30 marzo 2016

Repubblica 30.3.15
L’equilibrio sottile tra quorum e astensione
Quel voto sulle trivelle che esplora la doppia anima pd
Bersani è ambiguo: piace uno stop al premier, meno il populismo
Il voto è un test per la riforma costituzionale del prossimo autunno
di Stefano Folli

HA stupito molti che Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd e punto di riferimento della minoranza interna, abbia annunciato che il 17 aprile andrà a votare per il referendum sulle trivelle, ma senza rivelare il suo orientamento fra il “sì” e il “no”. Altri esponenti storici del centrosinistra, ad esempio Romano Prodi, si sono già pronunciati per il “no”, ossia per respingere il quesito referendario che prevede di non rinnovare le concessioni delle piattaforme, una volta giunte a scadenza. Altri, soprattutto fra i giovani della sinistra, si battono invece perché prevalga il “sì”.
La questione è piuttosto confusa, soprattutto perché il tema di merito è già oggi surclassato dai risvolti politici. Si guarda alle trivelle, ma in realtà ci si misura dentro il Pd nell’eterna battaglia fra renziani e anti-renziani. Gli argomenti in campo risentono di questa frattura tutta politica. E forse il Pd avrebbe potuto fare uno sforzo per non ritrovarsi così lacerato, a Roma e in periferia. Chi sostiene che le trivelle portano inquinamento e rischi per le nostre spiagge e le nostre acque, non spiega cosa succederà una volta che le perforazioni saranno spostate di qualche chilometro più in là (un po’ come le centrali nucleari francesi costruite a ridosso dei confini italiani). Chi difende le piattaforme sorvola sui rischi delle trivellazioni e preferisce mettere l’accento sui posti di lavoro che andrebbero perduti in caso di vittoria del “sì”.
La posizione di Bersani, che andrà a votare ma non svela come, si spiega con il sentiero stretto in cui si muove il Partito Democratico. E si capisce. Nella logica di Renzi non c’è discussione: il referendum va respinto in nome delle esigenze dell’industria e del rifiuto di cedere ai fondamentalismi ecologisti. Ma il premier sa che la vera discriminante fra vittoria e sconfitta passa attraverso il “quorum” del 50 per cento. Se gli organizzatori della consultazione riescono a portare alle urne la metà del corpo elettorale, con ogni probabilità avranno vinto. Se quella soglia non sarà toccata, i vincitori saranno i sostenitori del “no”, i nemici del referendum.
È una costante della vicenda referendaria negli ultimi vent’anni. Non c’è vera competizione fra le due ipotesi in campo, come fu ai tempi del divorzio; l’autentico braccio di ferro è fra chi cerca di portare la gente alle urne e chi la invita a starsene a casa. E anche in questa circostanza tutto lascia pensare che il “quorum” raggiunto sarà il segnale dell’affermazione del “sì”. Ma il traguardo è lontano e impervio per gli organizzatori. La grande maggioranza dei recenti referendum hanno fallito l’obiettivo proprio perché non hanno saputo coinvolgere la metà dei votanti.
E allora chi ritiene, come Renzi, che il movimento “No trivelle” sia espressione di una cultura antiquata e poco realista, si batte per l’astensione. Scelta legittima in sé, ma senza dubbio poco opportuna quando a sostenerla - in forma diretta o indiretta - è un partito politico o la maggioranza di esso. Soprattutto quando sono alcune Regioni governate da quel partito, il Pd, a chiedere la consultazione. Viceversa, chi sceglie di andare alle urne sa di contribuire al “quorum”. E il “quorum”, lo abbiamo detto, potrebbe far pendere la bilancia a favore dei “No trivelle”.
Questo spiega l’ambiguità di Bersani, espressione di una cultura emiliana che va poco d’accordo con il populismo “verde”. D’altra parte, la minoranza del Pd insegue il sogno o il miraggio di un’affermazione in chiave anti Renzi. La vittoria del “sì” sarebbe un colpo davvero imprevisto - e al momento improbabile - alla linea modernizzante del presidente del Consiglio: in attesa di altre rivincite, come il secondo referendum - ben più rilevante - in ottobre sulla riforma costituzionale. Bersani quindi si limita ad andare a votare e di più per ora non dice. Ma le sue mosse si iscrivono nella ragnatela della partita tattica che ancora si gioca nel Pd. E di cui è prematuro immaginare un sicuro vincitore.