Repubblica 30.3.15
L’equilibrio sottile tra quorum e astensione
Quel voto sulle trivelle che esplora la doppia anima pd
Bersani è ambiguo: piace uno stop al premier, meno il populismo
Il voto è un test per la riforma costituzionale del prossimo autunno
di Stefano Folli
HA
stupito molti che Pierluigi Bersani, ex segretario del Pd e punto di
riferimento della minoranza interna, abbia annunciato che il 17 aprile
andrà a votare per il referendum sulle trivelle, ma senza rivelare il
suo orientamento fra il “sì” e il “no”. Altri esponenti storici del
centrosinistra, ad esempio Romano Prodi, si sono già pronunciati per il
“no”, ossia per respingere il quesito referendario che prevede di non
rinnovare le concessioni delle piattaforme, una volta giunte a scadenza.
Altri, soprattutto fra i giovani della sinistra, si battono invece
perché prevalga il “sì”.
La questione è piuttosto confusa,
soprattutto perché il tema di merito è già oggi surclassato dai risvolti
politici. Si guarda alle trivelle, ma in realtà ci si misura dentro il
Pd nell’eterna battaglia fra renziani e anti-renziani. Gli argomenti in
campo risentono di questa frattura tutta politica. E forse il Pd avrebbe
potuto fare uno sforzo per non ritrovarsi così lacerato, a Roma e in
periferia. Chi sostiene che le trivelle portano inquinamento e rischi
per le nostre spiagge e le nostre acque, non spiega cosa succederà una
volta che le perforazioni saranno spostate di qualche chilometro più in
là (un po’ come le centrali nucleari francesi costruite a ridosso dei
confini italiani). Chi difende le piattaforme sorvola sui rischi delle
trivellazioni e preferisce mettere l’accento sui posti di lavoro che
andrebbero perduti in caso di vittoria del “sì”.
La posizione di
Bersani, che andrà a votare ma non svela come, si spiega con il sentiero
stretto in cui si muove il Partito Democratico. E si capisce. Nella
logica di Renzi non c’è discussione: il referendum va respinto in nome
delle esigenze dell’industria e del rifiuto di cedere ai fondamentalismi
ecologisti. Ma il premier sa che la vera discriminante fra vittoria e
sconfitta passa attraverso il “quorum” del 50 per cento. Se gli
organizzatori della consultazione riescono a portare alle urne la metà
del corpo elettorale, con ogni probabilità avranno vinto. Se quella
soglia non sarà toccata, i vincitori saranno i sostenitori del “no”, i
nemici del referendum.
È una costante della vicenda referendaria
negli ultimi vent’anni. Non c’è vera competizione fra le due ipotesi in
campo, come fu ai tempi del divorzio; l’autentico braccio di ferro è fra
chi cerca di portare la gente alle urne e chi la invita a starsene a
casa. E anche in questa circostanza tutto lascia pensare che il “quorum”
raggiunto sarà il segnale dell’affermazione del “sì”. Ma il traguardo è
lontano e impervio per gli organizzatori. La grande maggioranza dei
recenti referendum hanno fallito l’obiettivo proprio perché non hanno
saputo coinvolgere la metà dei votanti.
E allora chi ritiene, come
Renzi, che il movimento “No trivelle” sia espressione di una cultura
antiquata e poco realista, si batte per l’astensione. Scelta legittima
in sé, ma senza dubbio poco opportuna quando a sostenerla - in forma
diretta o indiretta - è un partito politico o la maggioranza di esso.
Soprattutto quando sono alcune Regioni governate da quel partito, il Pd,
a chiedere la consultazione. Viceversa, chi sceglie di andare alle urne
sa di contribuire al “quorum”. E il “quorum”, lo abbiamo detto,
potrebbe far pendere la bilancia a favore dei “No trivelle”.
Questo
spiega l’ambiguità di Bersani, espressione di una cultura emiliana che
va poco d’accordo con il populismo “verde”. D’altra parte, la minoranza
del Pd insegue il sogno o il miraggio di un’affermazione in chiave anti
Renzi. La vittoria del “sì” sarebbe un colpo davvero imprevisto - e al
momento improbabile - alla linea modernizzante del presidente del
Consiglio: in attesa di altre rivincite, come il secondo referendum -
ben più rilevante - in ottobre sulla riforma costituzionale. Bersani
quindi si limita ad andare a votare e di più per ora non dice. Ma le sue
mosse si iscrivono nella ragnatela della partita tattica che ancora si
gioca nel Pd. E di cui è prematuro immaginare un sicuro vincitore.