Corriere 30.3.16
Verso il voto il 5 giugno con lo spettro dell’astensione
di Massimo Franco
Si
parla con insistenza del 5 giugno come data del primo turno delle
elezioni amministrative. Se la decisione non è stata ancora
ufficializzata, è soprattutto perché su quel giorno pesa l’ombra
dell’astensionismo. La domenica arriva dopo il lungo «ponte» della Festa
della Repubblica del 2 giugno. Il timore di una diserzione dalle urne è
dunque più acuto. Ma l’alternativa del 12 giugno sembra scartata,
perché coincide con una festività ebraica. L’incertezza del governo
appare, di per sé, indicativa.
Rappresenta la spia di una frattura
tra sistema politico ed elettorato, che le prossime amministrative
potrebbero certificare o addirittura aggravare portando acqua alle
minoranze antigovernative. La situazione all’interno dei partiti e delle
coalizioni tradizionali rischia oggettivamente di aggravare questa
deriva. Con un eufemismo, le convulsioni in atto nel centrodestra fanno
parlare di uno schieramento simile a «un cantiere»: sebbene in realtà il
declino di Silvio Berlusconi abbia innescato una lotta feroce per la
supremazia tra Forza Italia, Lega e schegge di ex An, senza lasciar
prevedere una ricomposizione duratura. Quanto alla sinistra, il perno
del Pd e di Palazzo Chigi è messo in tensione dalle resistenze croniche
delle minoranze interne: ne sono esempi eclatanti lo scontro sui
candidati nelle grandi città, o il pasticcio del referendum sulle
trivellazioni.
C’è chi ritiene che il 5 giugno, con ballottaggi il
19, sarà una sorta di prova generale delle elezioni politiche, in
teoria in programma nel 2018, salvo anticipi al 2017. Può darsi. Ma
l’ipotesi più probabile, come sempre, è che i vincitori ne vorranno
trarre lezioni e indicazioni nazionali; mentre i perdenti metteranno
l’accento sui fattori locali.
L’aspetto più interessante, in
realtà, non sarà tanto il travaso di voti tra un partito e l’altro, e
tra un’alleanza e l’altra. Il primo dato sul quale riflettere sarà la
capacità o meno da parte di tutti, compreso il Movimento 5 Stelle, di
portare gli elettori a votare. Oltre tutto, la sensazione è che la sorte
del governo di Matteo Renzi, e non solo del suo, sarà influenzata non
tanto dalla capacità delle opposizioni, quanto dalla sua capacità di
gestire crisi legate a fattori esterni, non interni.
Basta vedere
le critiche contro Palazzo Chigi per la gestione del caso di Giulio
Regeni, il ragazzo torturato e ucciso in Egitto senza che si sappia
ancora come è accaduto; o le incognite legate ai flussi migratori, con
un’Italia che rischia di non riuscire a ottenere un serio aiuto
dall’Europa, o al terrorismo di matrice islamica. In un contesto così
drammatico, tutto diventa imprevedibile. E il voto amministrativo in
città come Roma, Milano, Napoli, Torino viene percepito come un episodio
minore in una fase in cui è la stessa politica a brillare per
mediocrità.