Repubblica 30.3.16
Il futuro di società sempre più vecchie
di Chiara Saraceno
BASTA
 guardarsi intorno, in famiglia, per le strade, negli ambulatori medici,
 nei parchi: la popolazione anziana è numerosa e visibile dappertutto, 
persino fuori dalle scuole, dove il numero dei nonni spesso compete con 
quello dei genitori che aspettano l’uscita dei bambini. Il fenomeno 
dell’invecchiamento della popolazione è in atto dappertutto, segnala il 
rapporto Aging World: 2015, condotto dai ricercatori del Census Bureau 
statunitense. Ma è particolarmente visibile nelle società più 
sviluppate, dove l’aumento delle speranze di vita si combina con una 
bassa fecondità.
Proprio per questo l’Italia, insieme alla 
Germania, guida i 22 paesi più vecchi in assoluto in Europa ed è terza a
 livello mondiale ( dove il Giappone è al primo posto): perché in questi
 paesi si vive molto a lungo, ma anche perché c’è poco ricambio e il 
tasso di fecondità è ampiamente al di sotto del livello di sostituzione.
 Se tutti i paesi, quindi, devono fronteggiare le fragilità di un numero
 crescente di grandi vecchi – gli ultraottantenni che gli estensori del 
rapporto stimano triplicheranno nel corso dei prossimi trentacinque anni
 (nel 2050 si passerà da 126,5 milioni a 446,6 milioni di over 80, 
l’Italia scenderà al 15esimo posto, mentre il Giappone resterà primo; 
gli over 65 saranno 1,6 miliardi pari al 17% contro l’ 8,5% del 2015,
n. d. r.) - i paesi a più bassa fecondità lo dovranno fare in una situazione di grande squilibrio demografico.
È
 vero che si vive di più anche perché si gode di salute migliore e che 
un sessantenne di oggi può essere equiparato in larga misura ad un 
quarantenne di cento anni fa. Quindi gli anziani di oggi non solo vivono
 più a lungo, ma rimangono ( o potrebbero rimanere) anche attivi più a 
lungo. Quindi una popolazione anziana non è sempre e necessariamente un 
peso e un costo per la società in cui vive. Diverse ricerche mostrano 
come, soprattutto in Italia dove il welfare state è molto carente, gli 
anziani costituiscono spesso l’unica rete di protezione disponibile per 
le generazioni più giovani e nonne e nonni sono una risorsa 
indispensabile per i genitori che lavorano.
Anche in paesi in via 
di sviluppo è stato osservato come garantire una pensione agli anziani 
ha un effetto benefico sulle generazioni più giovani, perché gli anziani
 redistribuiscono molto nelle reti famigliari. Tuttavia, specie in paesi
 come l’Italia caratterizzati da un forte squilibrio demografico, i 
problemi non vanno ignorati. Dato che è impensabile alzare 
indefinitamente l’età alla pensione e il rischio di malattie 
degenerative aumenta con l’età, i sistemi pensionistici e quelli 
sanitari saranno sotto pressione in modo molto maggiore di quanto non 
avvenga ora.
Non si tratta tuttavia di una situazione senza vie di
 uscita. Accanto alla necessità di attrezzarsi per rispondere ai bisogni
 e alla capacità di una popolazione anziana – sul piano dei consumi, dei
 trasporti, dell’offerta culturale – occorre incidere sugli attuali 
equilibri demografici e comportamentali a più livelli.
Innanzitutto,
 specie in Italia, occorre allargare la forza lavoro effettiva, 
consentendo ad un numero maggiore di donne di entrare e rimanere nel 
mercato del lavoro anche nei periodi di formazione della famiglia. 
Occorre investire, quindi, in politiche di conciliazione, che a loro 
volta allargheranno la domanda di lavoro ed allo stesso tempo 
favorirebbero le scelte di fecondità, che oggi sono ancora troppo spesso
 in alternativa alla partecipazione al lavoro.
In secondo luogo, 
occorre aumentare gli investimenti in capitale umano, sia per eliminare 
gli svantaggi che ancora oggi condannano una parte dei minori e giovani 
ad un destino di marginalità e di non sufficiente sviluppo delle loro 
capacità. Allo stesso tempo, questi investimenti favorirebbero la 
formazione di una popolazione anziana che sta meglio in salute anche 
perché attiva culturalmente, un aspetto evidenziato da molte ricerche.
Infine,
 occorre investire in politiche dell’immigrazione che incentivino 
l’arrivo di persone preparate, ne valorizzino le capacità e le integrino
 nel tessuto sociale, con una particolare attenzione per le nuove 
generazioni. Senza di loro, saremmo una popolazione ancora più vecchia.
 
