Repubblica 24.3.16
L’obiettivo vero è Mediaset
Bolloré, il re di Francia che si mangia Telecom
Dal
2005 il titolo in Borsa ha perso il 70% del proprio valore rispetto
all’indice europeo del settore Il 25% posseduto dai francesi vale oggi
più o meno il 100% della società di Berlusconi
di Alessandro Penati
I
CONTI delle aziende interessano poco gli italiani. Ma sono molto
affascinati dai personaggi di chi le comanda. E così, l’arrivo in
Telecom Italia di uno scalatore francese (Bolloré), già sodale di
Mediobanca, che caccia l’amministratore delegato Patuano e vuole fare
affari con Berlusconi in un settore sotto i riflettori come i media,
solleva un polverone. Manco fosse la farfallina di Belén. Ma dietro
tanto clamore si cela la realtà di un’azienda in declino.
UN’AZIENDA
dalle prospettive non certo brillanti, in un settore europeo incapace
di risolvere il rebus della crescita. Prospettive che l’arrivo di
Bolloré rende ancora più incerte.
Dieci anni fa, Telecom Italia
fatturava 29,9 miliardi, con un margine degli utili (ante imposte e
interessi) sui ricavi del 22,8%. Nel 2015, il fatturato è sceso a 19,7
miliardi, e il margine al 15% (gravato anche da elementi straordinari).
Dieci anni fa la gestione operativa generava 9,9 miliardi di liquidità,
che ne finanziavano 5,2 di investimenti fissi; il resto serviva per
pagare 2,6 miliardi di interessi sull’enorme debito accumulato e 2,3 di
dividendi ai soliti azionisti a corto di capitali. L’anno scorso la
liquidità della gestione operativa si era dimezzata a 5 miliardi, ma i
necessari investimenti fissi sono rimasti quelli di 10 anni fa (5,2
miliardi), come pure gli interessi (2,5 miliardi). Telecom è dunque come
un ghiacciaio che si scioglie lentamente: non genera al suo interno
risorse sufficienti per cambiare direzione e cercare di crescere; né può
farlo indebitandosi, dato che l’esposizione attuale, in rapporto al
margine operativo, eccede quella media di settore. Così, dal 2005 il
titolo in Borsa ha perso il 70% del proprio valore rispetto all’indice
europeo di settore; anche se, magra consolazione, da quattro anni si
muove più o meno come il settore.
Chiare e ben note le
responsabilità dei vari capitani di industria alla guida di Telecom in
passato. Ma anche gli investitori istituzionali che li hanno succeduti,
non hanno brillato per capacità di governo: hanno contribuito a nominare
un consiglio pieno di autorevolezza e blasone, che però non è stato
capace di indicare al management la strada per arrestare il declino,
arrivando al ridicolo di approvare il 16 febbraio scorso il piano
triennale predisposto da Patuano, per poi cacciarlo qualche settimana
dopo.
Telecom, oltre a condividere i problemi del settore in
Europa, ne aggiunge di propri. L’elevata frammentazione secondo i
confini nazionali e il numero di operatori locali amplificano la
concorrenza e limitano le economie di scala: così il fatturato medio per
dipendente, 353mila euro, è ben al di sotto dei 568mila negli Usa. A
questo Telecom aggiunge la forte concentrazione in Italia, dove la
crescita dei consumi è tra le più basse, e la produttività dei
dipendenti (80% del totale) è inferiore alla media (285mila euro per
addetto); e la sua migliore fonte di crescita in passato, il Brasile, si
è trasformata in tragedia: bisognava vendere anni fa, ai primi accenni
di crisi.
C’è poi un problema di fondo. Tutti sembrano guadagnare
dalla rivoluzione digitale, tranne chi trasporta il segnale. È successo
con la telefonia mobile, dove i profitti sono andati ai produttori di
smartphone, applicazioni e infrastrutture, lasciando le briciole alle
aziende telefoniche. Lo stesso sta accadendo con internet: sono i
produttori di contenuti, i social network, i venditori di pubblicità, i
fornitori di tecnologia, l’e-commerce a guadagnare: molto meno chi posa
la fibra e trasporta il traffico, specie se in forte regime di
concorrenza. L’annosa questione sulla banda larga in Italia è malposta:
chi non vorrebbe navigare a 100 Mbps sempre e ovunque? Ma quanto è
disposto a pagare il consumatore italiano per l’investimento necessario?
Non molto direi, guardando per esempio alla bassa penetrazione e la
scarsa redditività della Tv a pagamento.
Tutto questo Bolloré lo
ha capito benissimo: infatti Vivendi ha fatto cassa uscendo sia dal
Brasile, sia dalla telefonia in Francia. Ma allora, perché reinveste
subito nella telefonia italiana che ha anche più problemi, e
indirettamente in Brasile? Bollorè è un trader e un finanziere; non un
imprenditore. La partecipazione in Telecom se l’è ritrovata vendendo il
Brasile a Telefonica. Non sarei dunque sorpreso se volesse semplicemente
valorizzarla e rivenderla con profitto. Infatti ha arrotondato la quota
in Telecom per prendere il controllo senza Opa (nella migliore
tradizione della casa); non converte le risparmio per non diluirsi;
cambia il vertice, magari per qualcuno che sappia tagliare i costi;
vende il Brasile e il vendibile; magari scinde Sparkle, l’unica
strategica, in una società separata a controllo italiano; e poi rivende
con profitto la quota di controllo (sempre senza Opa) al concorrente
europeo a caccia di economia di scala. Orange è uno dei papabili.
E
la tanto pubblicizzata trattativa con Mediaset? Vivendi ha due
attività: la musica, che va bene; e la Tv a pagamento che in Francia
ristagna e fa fatica come ovunque. Ma perché dovrebbe comprare Mediaset
Premium, aggiungendo solo perdite e problemi a Canal+? Mediaset Premium
distribuisce contenuti, non li produce (e li paga a caro prezzo, vedi
Champions). E non è strumentale a trasformare Telecom in una tv a
pagamento, fornendole contenuti e clienti, perché oggi non ha la fibra
con la velocità di trasmissione necessaria a fornire una tv con qualità
analoga a satellitare e digitale; non ci sono i margini, e Bollorè non
apporta 1 euro di nuovi capitali.
Diverso se Bollorè volesse
comprare tutta Mediaset: Vivendi acquisterebbe una posizione dominante
anche in Spagna, risparmierebbe sugli acquisti dei contenuti e sulle
produzioni mettendo assieme tre paesi, oltre ad incamerare la pubblicità
della tv generalista. Ma a che serve scalare Telecom se l’obiettivo è
Mediaset? Il 25% di Vivendi in Telecom vale oggi in Borsa più o meno
come il 100% di Mediaset. Se Bolloré valorizzasse rapidamente Telecom e
cedesse la sua quota di controllo, sarebbe facilmente in grado di fare
un’offerta che Berlusconi non potrebbe rifiutare.
Sono solo mie
congetture; anche se basate su numeri, non dicerie. In verità non ho la
più pallida idea di quale sia veramente la strategia di Bolloré; il vero
problema è che ben pochi investitori di Telecom lo sanno. Per Piazza
Affari non è certo un momento glorioso. L’unica previsione sensata è che
la vicenda Telecom rischia di diventare un monumento all’idiozia del
nostro capitalismo e all’inefficienza del sistema finanziario italiano.