mercoledì 23 marzo 2016

Repubblica 23.3.16
Il terminal, luogo simbolo della nostra laicità
L’aeroporto è il vero bastione occidentale: è bellezza, luminosità, trasparenza
di Francesco Merlo

NON sottovalutateli. Hanno capito, questi barbari dell’Is, che davvero c’è un nesso storico tra l’aeroporto e la laicità. Un filo sottile quanto il cervello unisce i voli di linea ai voli pindarici. L’accorciamento delle distanze è il meticciato dei pensieri. La convivenza forzata di razze e religioni è l’universo stipato nel bagaglio a mano.
Semmai c’è dunque da chiedersi come mai i terroristi islamici - stragisti di simboli - non l’avessero colpito prima. L’aeroporto, insomma, è il più occidentale tra i nostri valori-simbolo. E quello di Bruxelles, in particolare, oltre a simboleggiare come gli altri la libertà di viaggiare, è anche il più europeo degli aeroporti d’Europa perché è lo snodo politico e commerciale, “il luogo dei luoghi” che, più ancora del Parlamento e persino dell’ euro, ha fatto l’Europa mettendole le ali.
Ovviamente gli aeroporti non sono cammelli. E dunque, non essendo previsti dal Corano, sono innovazione, “bida”, eresia. Tanto più quello di Bruxelles che,come abbiamo detto, non è un qualsiasi aeroporto del mondo, ma è l’Europa on the sky e non più on the road. Grazie a questo snodo-salotto puoi lavorare a Zurigo, pranzare a Lione e dormire ad Amsterdam.
E si capisce che ai terroristi procuri spaesamento mentale e panico l’aeroporto, che è la più bella fabbrica di libertà del nostro tempo, quella che meglio ci rappresenta, più ancora delle torri gemelle di New York che magnificamente esprimevano la verticalità dell’America, la spavalderia yankee di liberarsi della terra e abitare il cielo levitando a vista dentro gli ascensori. Più delle nostre amatissime Torri, l’aeroporto è l’ascensione laica attraverso il volo. È la trascendenza secolarizzata che offende gli islamisti, prigionieri delle caverne mentali, più della nostra Croce che per noi vale quanto la loro Mezza Luna.
È vero che, pur senza assuefarci, ci stiamo abituando a questo terrorismo di guerra come ci si abitua ai terremoti che arrivano imprevisti e imprevedibili e dai quali non ci può difendere. E però anche l’enormità della strage di ieri da un punto di vista militare non può andare oltre l’immenso dolore per la morte di tante persone libere e innocenti. Sappiamo che nuovi lutti purtroppo ci aspettano. Ma, più dei lutti, è questo barbaro attacco ai simboli che ricatta l’Occidente, perché rischia di militarizzare la vita civile, di legittimare deroghe al Diritto, di farci rintanare nella case, di svuotare le metropolitane e gli aeroporti, di trasformare ogni controllo in un odioso sospetto di colpevolezza, di attivare il famoso scontro di civiltà.
Aeroporto e metropolitana, che ieri sono stati colpiti insieme, sono gli spazi di mescolanza delle genti, delle merci e delle idee. Sono i luoghi della promiscuità, che è di popoli nel sottosuolo ed è di popolazioni nel cielo aperto. Un etnologo nel metrò è il titolo dell’ultimo libro di Marc Augé - l’inventore del “non luogo”, - che ha dunque studiato la viabilità sotterranea dell’Occidente globalizzato e libero come Lévi-Strauss studiò gli aborigeni della foresta brasiliana. La metropolitana segna il rango delle nostre città, il suo flusso è quello del suo sangue. Metro e aeroporto sono le utopie realizzate dell’Occidente, dimostrano che l’integrazione è riuscita e dunque attirano la furia dell’integralismo, la disperazione degli scarti, degli sbandati che, se non ci fosse lo Stato islamico, si farebbero reclutare da qualsiasi commando di morte pur di sfogare il loro mal di vivere. Metro e aeroporto sono un esercizio di democrazia che minaccia questi macellai di Allah più del nostro Gesù che abbiamo tolto dalle pareti per non inquietare il loro Maometto.
Ma è l’aeroporto , in realtà, il vero bastione dell’Occidente, più ancora della stazione Atocha di Madrid, della metropolitana di Londra, della sede di un qualsiasi libero giornale di Parigi, del museo ebraico di Bruxelles e persino del concerto rock, dello stadio e dei caffè, dove i giovani parigini si divertono più che altrove perché la libertà si contagia per contatto. L’aeroporto è anche l’internazionalità della bellezza, della luminosità, la modernità dei materiali trasparenti, il vetro, l’acciaio, il plexiglas, il luogo dove ritrovarsi e non lo spazio dove perdersi. Prima dell’assalto dei killer di dio, gli aeroporti erano anche isole di sicurezza dove persino le toilettes sono pulite, e solo i bagagli si smarriscono.
Se è vero che hanno scelto Charlie Hebdo per punire la libertà di satira, e che hanno dichiarato guerra a Parigi per zittire la Marsigliese che ha rifatto il mondo a nostra immagine e somiglianza, è sicuro che in Bruxelles hanno cercato di colpire l’Europa di Icaro e Cartesio, le geometrie e le fantasie del volo, la Ragione e il Vento che governano i tabelloni delle partenze e degli arrivi: da Bruxelles, in un’ora o poco meno, arrivi a Londra e a Francoforte, a Milano e a Copenaghen, ad Amsterdam e a Vienna, a Parigi e a Zurigo. È appunto lo snodo non solo geografico di una rete che ha trasformato l’Europa in una Città-Continente, come aveva intuito la migliore architettura già negli anni Sessanta (Yona Friedman). Solo l’Europa realizza così la mescolanza. Gli altri Continenti sono fatti di megalopoli perse nella natura, spaventosi assembramenti urbani, come in Asia (Shanghai, Seul, Tokio), come nell’Africa delle Shanty Towns (Laos, Johannesburg, Il Cairo), come in Sudamerica (Città del Messico, San Paulo, Buenos Aires), come persino negli Stati Uniti (Chicago, Los Angeles, New York) e come in Australia (Melbourne, Sydney). E non pensate che sia retorica, non sottovalutate i barbari dell’Is che, in nome di un dio killer che svilisce qualsiasi idea di dio, vanno sì a caccia di luoghi per uccidere, ma seguendo un delirio, un dare di testa, che è la Blue Hour della democrazia occidentale, lo skyline della nostra civiltà.