venerdì 18 marzo 2016

Repubblica 18.3.16
Il dilemma della Merkel tra Mosca e Ankara
di Timothy Garton Ash

PERCHÉ la Germania e non l’Italia?» chiedo a Jawad, sedici anni, magro, sguardo vivace, davanti alla sua casa, una tenda di sei metri quadri, in una palestra di Berlino Est adibita a centro di accoglienza per i profughi. È venuto dall’Afghanistan con la famiglia. Sei mesi fa non sapeva una parola di tedesco ma ora risponde senza esitazione: « Italien hat kein Geld! ». L’Italia non ha soldi. Chiaro e semplice.
Un milione di Jawad in arrivo in un solo anno hanno scosso la Germania ricca e liberal-borghese al punto che un partito xenofobo, anti-immigrati, si è appena aggiudicato un quarto dei voti in uno stato della Germania orientale. In tutto il mondo ci si chiede se il centro d’Europa terrà.
Sotto il profilo politico e economico la Germania è il centro d’Europa. La “grande coalizione”, il governo formato dal centro destra cristiano democratico e dal centro sinistra socialdemocratico, è il centro della Germania. E Angela Merkel è il centro di quel governo centrista. Davvero, quindi, la Merkel è il centro d’Europa.
Di fronte a un esito elettorale negativo per il suo partito, la Cdu, in tre stati federali, la Merkel resta all’apparenza impassibile, fedele alla sua proclamata strategia Ue-turca che il vertice dell’Unione è chiamato ad approvare a Bruxelles oggi. Si tratta della paziente, pragmatica fermezza che le ha conquistato tanta stima? Oppure è l’arroganza che subentra, quasi per legge fisica, quando un politico è al potere da più di dieci anni? (Margaret Thatcher, Helmut Kohl, Recep Tayyip Erdogan – la lista è lunga).
Per ora il centro della politica tedesca ha retto, ma è addentato ai margini, come una cialda croccante. Anche i sui partner di coalizione, i socialdemocratici, sono andati male in queste elezioni e nel grande e prospero Baden-Württemberg hanno vinto i Verdi. Sono sei ora i partiti da prendere seriamente in considerazione, sette se si scorpora l’Unione Cristiana Bavarese (Csu), apertamente critica nei confronti della politica della cancelliera sui profughi. Il giornalista Stefan Kornelius fa presente che l’asse della politica tedesca potrebbe spostarsi passando dal confronto tra sinistra e destra a quello tra il centro e le estremità. I politici dei partiti tradizionali usano normalmente la dizione “partiti democratici” per distinguerli dall’ultrasinistra e ora da Alternativa per la Germania (AfD), il partito anti- immigrazione e anti-euro.
Il successo elettorale di AfD ha fatto notizia in tutto il mondo. Certi suoi candidati hanno detto cose terribili. Michael Ahlborn, in Sassonia-Anhalt, uno stato dell’Est, ha definito i turchi Drecksvolk, un popolo di merda. Günter Lenhardt, riservista militare e candidato del partito nel Baden-Württemberg, ha detto che «Ai profughi non cambia nulla se muoiono alla frontiera greca o a quella tedesca ». Ma queste affermazioni, vicine alla retorica di Pegida, il movimento xenofobo di estrema destra, possono nascondere ai nostri occhi il vero problema. Tutti quelli con cui ho parlato nel corso dell’intensa settimana passata a Berlino concordano che l’elemento sorprendente di AfD è il sostegno di cui gode tra gli appartenenti alla classe media colta: professori, medici, imprenditori, avvocati, gente che sa perfettamente quando usare il titolo di Frau Doktor essendo spesso loro stessi a fregiarsi di quello di Herr Doktor, se non di Herr Professor.
Per contrastare questa radicalizzazione e frammentazione, il centro – e il centro del centro, alias la Merkel – deve fare due cose molto impegnative: dare dimostrazione ai tedeschi che ne dubitano della capacità della Germania di integrare con successo più di un milione di nuovi ingressi, portatori di una cultura diversissima e, in seconda battuta, tamponare il flusso di nuovi arrivi. Quanto al primo punto, basta una visita a un centro di accoglienza profughi per rendersi conto dello sforzo straordinario di ospitalità pubblica civile che il Paese sta compiendo (6 metri quadri per ciascuno, mi dice il supervisore del centro profughi di Berlino, cibo, abiti, cure mediche, inserimento nelle scuole in classi speciali, una piccola somma versata mensilmente su un conto corrente) ma è anche chiaro che i numeri stanno mettendo a estrema prova le risorse dello Stato e la pazienza della cittadinanza.
Tamponare il flusso, anche se tutto procede secondo i piani della Merkel, implica una allarmante dipendenza da due sovrani imprevedibili e non democratici, Erdogan e Vladimir Putin – il sultano e lo zar. Per mantenere l’apertura, fondamentalmente etica e umana, della Germania nei confronti dei veri profughi, la Merkel ha appoggiato una proposta che è etica, ma anche giuridicamente problematica: radunare i profughi in campi in Grecia e quindi procedere a uno scambio “uno contro uno” con i profughi siriani in Turchia. Questo significa inoltre che l’Ue accetta il sultano turco anche se sta calpestando la libertà di stampa e violando altrimenti i diritti umani e gli standard europei. Significa poi dipendere dalla Russia di Putin per mantenere in atto la rischiosa “cessazione delle ostilità” in Siria. Parlando con fonti vicine alla cancelliera risulta purtroppo chiaro che tutta la loro politica dipende dai rapporti con la Turchia e con la Russia. Per descriverla si è ricorsi al termine Überrealpolitik ma, come sempre, bisogna chiedersi quanto sia realistico il “realismo” in politica estera. Questo prima ancora di arrivare all’ipotesi che molti altri profughi tentino la pericolosissima traversata dalla Libia all’Italia, rischiando la morte in mare, o per altre vie. La crisi dei profughi in questo momento domina la politica tedesca ma è solo una delle tante crisi che aggrediscono il potere centrale d’Europa. Ci sono anche l’eurocrisi, il conflitto armato di bassa intensità e la corruzione ad alto livello in Ucraina, un governo nazionalista conservatore nella vicina Polonia, Marine le Pen in Francia – e poi, dimenticavo, il rischio Brexit. In realtà i tedeschi non vogliono che la Gran Bretagna esca dall’Ue, ma non è la loro priorità. Se noi britannici voteremo la Brexit, non offriranno alla Gran Bretagna un accordo più favorevole, ma si rivolgeranno alla Francia, con l’intento di dar vita a un forte nucleo centrale europeo. Se la sedicente nazione isola non aiuterà il resto d’Europa, dovrà cavarsela da sola. I tedeschi hanno un lavoro importante da fare: ristabilizzare un Paese e anche un continente.
(Traduzione di Emilia Benghi)