Corriere 18.3.16
Se la cancelliera accetta Erdogan alleato scomodo ma necessario
di Danilo Taino
È
 famosa la frase di un presidente americano — c’è chi dice Roosevelt, 
chi Truman, chi Nixon — riferita a uno dei Somoza che hanno governato il
 Nicaragua per quasi 40 anni: «Sì, è un bastardo; ma è il nostro 
bastardo». Riassunto massimo, per quanto distorto, di una certa idea di 
«realismo» nella politica estera. Oggi, nessuno si sogna di definire 
negli stessi termini i governanti autoritari che stanno ai confini 
dell’Europa, che dei Somoza non sono. E nessun leader democratico 
oserebbe esprimersi con il cinismo che era moneta corrente qualche 
decennio fa. Succede però che la logica «realista» si sta imponendo, 
piaccia o meno, anche nella Ue che credeva di averla superata d’un 
fiato.
Il regime autoritario di Erdogan in Turchia non piace a 
nessuno dei governi democratici europei. Fino a meno di un anno fa, 
Angela Merkel si opponeva all’ingresso di Ankara nell’Unione. Eppure, in
 queste ore, a Bruxelles, il dodicesimo vertice sui profughi sta 
discutendo un accordo di vasta portata con la Turchia. La cancelliera 
tedesca, di fronte alla crisi dei rifugiati, si è sottoposta a un bagno 
completo di realismo politico e ha stabilito che il nostro alleato, per 
quanto non gradevole, è Erdogan. Scelta obbligata anche se non garantita
 nel risultato. L’Italia sta affrontando qualcosa di simile nella 
vicenda di Giulio Regeni, in relazione al presidente egiziano Al Sisi, 
non un modello di democratico ma in qualche modo nostro, cioè necessario
 per sperare in una certa stabilità in Egitto. Probabilmente, i governi 
europei si troveranno di fronte a situazioni del genere sempre più 
spesso.
È che è tornata la geopolitica. I conflitti e le tensioni 
alle porte del Vecchio Continente — dall’Ucraina alla Siria alla Libia —
 entrano in Europa e la costringono a ragionare in termini di rapporti 
di forza, logica che la pacifica Ue del soft power credeva di avere 
abbandonato. O almeno lasciato in monopolio agli americani. Anche 
l’ombrello di Washington — magari cinico ma comodo — si è però chiuso. 
Non resta che il nostro Erdogan.
 
