Il Sole 18.3.16
Atene tra bancarotta e prigione per migranti
di Vittorio Da Rold
Dal
campo profughi di Idomeni, al confine greco-macedone, la Grecia appare
come sospesa tra due estremi: sprofondare definitivamente in bancarotta
se non verrà raggiunto un accordo con la Troika sulle misure di
austerità in cambio di 86 miliardi di euro di nuovi prestiti o
trasformarsi in un carcere di migranti a cielo aperto se non verrà
trovata un’intesa per suddividere tra i partner i 47mila migranti
imprigionati dal blocco della via balcanica.
Idomeni diventa
l’emblema delle disfunzioni e incapacità della Ue di risolvere le crisi.
Così come nel caso della crisi dei debiti sovrani ci sono voluti cinque
anni per trovare un accordo, un fondo salva-Stati e una politica comune
di risoluzione e vigilanza bancaria, così con i migranti serviranno
anni per trovare un’intesa sul controllo comune dei confini europei,
libertà di movimento delle persone, scambio di informazioni su chi
chiede l’asilo come profugo. Nel frattempo, la Grecia sarà di nuovo la
terra di questo esperimento sociale di un’Europa à la carte.
I
migranti e i rifugiati l’hanno capito subito che l’aria stava cambiando e
sono cominciate le proteste spontanee nei centri di accoglienza greci
contro i blocchi al confine macedone e i rimpatri verso la Turchia.
Gruppi
di siriani, afghani e pachistani hanno manifestato nel porto del Pireo
di Atene, al grido di «aprite i confini» e chiedendo di continuare il
loro viaggio verso il centro-Europa. Sull’isola di Lesbo, porta
d’ingresso per chi arriva attraverso l’Egeo dalla Turchia, 400
pachistani hanno protestato contro il rimpatrio dei migranti economici,
che non si qualificano come rifugiati. Secondo le cifre greche, 608
profughi provenienti da Algeria, Tunisia, Marocco, Pakistan e Bangladesh
sono stati rimandati in Turchia dall’inizio dell’anno, in seguito a un
accordo tra Ankara e Atene stilato a Smirne dal premier Tsipras e il suo
omologo turco Davutoglu.
La scorsa settimana, la Macedonia e gli
altri Paesi dei Balcani hanno deciso di chiudere le frontiere, così
migliaia di migranti sono rimasti bloccati nei centri di accoglienza o
smistati in altre strutture del Paese. La situazione più disperata è nel
campo di fango di Idomeni al confine con la Macedonia, dove sono
ammassate 15mila persone, la maggior parte donne e bambini, in attesa di
poter passare un confine chiuso ermeticamente da giorni. Circa 4mila
migranti hanno trovato rifugio vicino ad Atene, nel vecchio aeroporto
Helleniko mentre altre migliaia sono nei centri sulle isole. Dal 1°
marzo sono arrivati 20mila migranti nelle isole, un flusso che non
accenna a diminuire. Come se non bastasse il ministro della Difesa,
Panos Kammenos, leader del partito minore nella coalizione di
maggioranza, Anel, ha chiesto le dimissioni, minacciando il ritiro del
sostegno al governo Tsipras, del ministro per le Migrazioni, Yiannis
Mouzalas, perché ha chiamato la Macedonia con il suo nome invece di
usare l’acronimo Fyrom, ex Repubblica juogoslava di Macedonia. Così i
migranti rischiano pure di far saltare il governo greco...