venerdì 18 marzo 2016

Repubblica 18.3.16
“Troppo facile esportare le nostre opere d’arte” la legge che divide i critici
Scontro sul ddl che agevola il commercio delle opere all’estero Il no di esperti e associazioni: “Così l’Italia svende i suoi tesori”
di Sara Grattoggi

ROMA. Esportare opere d’arte, senza dover chiedere un’autorizzazione, potrebbe diventare molto più semplice. E lo sarà se passerà l’emendamento al ddl n. 2085 sul mercato e la concorrenza, ora al vaglio della commissione Bilancio del Senato, proposto dai senatori pd Andrea Marcucci, Francesco Scalia, Camilla Fabbri e Linda Lanzillotta, ma scritto insieme agli uffici del ministro Dario Franceschini. Un emendamento che modifica il Codice dei beni culturali e del paesaggio, cambiando le regole per la circolazione internazionale delle opere.
Oggi, chi vuole farle uscire dall’Italia le deve sottoporre a uno degli uffici Esportazioni del ministero per ottenere l’attestato di libera circolazione e la licenza di esportazione. Un passaggio obbligatorio per tutte le opere il cui autore non sia vivente e che siano state realizzate oltre 50 anni fa. Se l’emendamento dovesse diventare legge, la soglia si alzerebbe, invece, a 70 anni, includendo così — fra le opere non più soggette alla tutela del Codice e libere di partire — anche una parte importante della produzione del Novecento, che include capolavori di maestri come Fontana, Burri, Guttuso o Morandi.
Non solo. Per la prima volta, si introdurrebbe come discriminante per la presentazione o meno delle opere agli uffici il loro valore economico. Anche le più antiche infatti — reperti archeologici e archivi esclusi — potrebbero prendere il volo senza autorizzazione, nel caso il loro valore non superi determinate cifre (circa 140mila euro per i quadri, ad esempio, 50mila per statue e libri). Ma per stabilirlo basterà un’autocertificazione. Fra le altre novità dell’emendamento, il prolungamento della validità dell’attestato di libera circolazione, da 3 a 5 anni, e della licenza di esportazione, da 6 mesi a un anno. E l’introduzione di un “passaporto” delle opere, valido 5 anni.
Modifiche che hanno scatenato aspre polemiche da parte di storici dell’arte e associazioni dedicate alla tutela. A cominciare da Italia Nostra, che in una lettera alle commissioni del Senato ha espresso «preoccupazione e dissenso per un provvedimento che secondo noi viola l’articolo 9 della Costituzione», spiega il presidente Marco Parini.
«Nettamente negativo» il parere di Salvatore Settis, «perché questo testo si riferisce al mercato come fosse l’unica componente dell’interesse pubblico». «Nel 1902, quando lo Stato valutava se comprare o meno la Galleria Borghese, la Deposizione di Raffaello era valutata un milione di lire, mentre il Davide con la testa di Golia di Caravaggio solo 1.200 lire — ricorda l’archeologo e storico dell’arte — . Se si fosse ragionato così, i Caravaggio della Galleria Borghese sarebbero tutti “emigrati”». Spezza una lancia in favore della norma, invece, il critico Achille Bonito Oliva: «Dal mio punto di vista l’arte è universale e può circolare liberamente. Va controllato però che le autocertificazioni sul valore non diventino un escamotage per poi tesaurizzare le opere all’estero».
Difende l’emendamento, definito «un lavoro di squadra», il Mibact: «C’è un ragionevole bilanciamento tra l’interesse della tutela e quello del mercato dell’arte. Inoltre, la norma introduce una clausola di salvaguardia per le opere fra i 50 e i 70 anni, che consente al ministero di vincolarle se lo ritiene necessario».