Repubblica 18.3.16
Renzi ora è più debole di fronte ai dissidenti del suo partito
Per il premier non cambia nulla ma c’è un prezzo da pagare
Sul piano del realismo politico i verdiniani non modificheranno la loro strategia
Ma il nuovo risvolto giudiziario dà un altro vantaggio ai 5 Stelle
di Stefano Folli
CHE
cosa cambia per la maggioranza di Renzi dopo la condanna in primo grado
subita da Denis Verdini? Ai fini pratici, ben poco: almeno a breve
termine. Dei problemi giudiziari di Verdini e del processo in corso
erano tutti consapevoli da tempo, a cominciare dal presidente del
Consiglio.
Questo non aveva impedito al premier di cercare
l’appoggio del gruppo Ala, che al Senato si è rivelato cruciale in un
paio di occasioni importanti e che di fatto oggi naviga ai margini della
maggioranza, pronto a integrare eventuali vuoti dovuti alle convulsioni
interne del Pd. Sul piano del realismo politico-parlamentare, la
situazione quindi non cambia. I parlamentari verdiniani si muoveranno
nel prossimo futuro come hanno fatto finora. Del resto, il loro leader
non è membro del governo, non è ministro o sottosegretario. In tal caso
l’opportunità delle dimissioni si sarebbe posta in forma inderogabile.
Ma Verdini è un parlamentare condannato in primo grado in un processo
che difficilmente arriverà all’appello perché fra pochi mesi interverrà
la prescrizione. Difficile credere che il suo pacchetto di voti possa
essere rifiutato da Renzi dopo tutti gli sforzi fatti per averlo a
disposizione.
C’è poi il mare aperto delle polemiche. Che sono
inevitabili. Rispetto all’opinione pubblica, specie quella che sostiene
il suo governo, Renzi paga un prezzo. Si espone agli attacchi dei Cinque
Stelle, ma si presenta più debole anche di fronte ai dissidenti del
Partito Democratico.
Molti di costoro, esponenti della minoranza
interna, hanno messo a fuoco da qualche settimana Verdini come il
tallone d’Achille del premier fiorentino. Non è una strategia troppo
brillante perché tradisce la mancanza di argomenti più sostanziali,
legati a punti specifici del programma. Ma sul piano mediatico la
risonanza è assicurata, specie dopo la sentenza di ieri. Tanto più che
la vicenda chiama in causa la Scuola Marescialli di Firenze e quindi
evoca tutte le dietrologie, di cui si alimentano le cronache, sulla
“connection” fiorentina.
S’intende che il governo Renzi non
rischia di essere messo in crisi dal caso Verdini. Manca qualsiasi
presupposto al riguardo. Lo sa anche la minoranza che si pone come
obiettivo non tanto la caduta dell’esecutivo sulla “questione morale”,
quanto il progressivo logoramento dell’esperienza renziana. E qui il
presidente del Consiglio deve fare attenzione perché non sempre la
spregiudicatezza nell’arte del governo rappresenta la scelta migliore.
Di recente si sono verificati episodi che sarebbe rischioso
sottovalutare. Le primarie nelle città, specie a Napoli e in parte a
Roma, indicano che resta parecchio da fare per impedire che un
meccanismo di selezione democratica si trasformi in un atto di
autolesionismo politico.
Non solo. La riforma delle banche
cooperative ha suscitato una levata di scudi nella minoranza Pd e il
governo ha apportato una serie di modifiche migliorative al testo. Forse
basteranno. Ma cosa accadrebbe se su un provvedimento contestato - un
provvedimento che tocca una materia sensibile come le banche e la
finanza - il governo ponesse la fiducia al Senato? In quel caso i voti
del gruppo di Verdini potrebbero diventare decisivi, in presenza di una
frattura all’interno del Pd. Ebbene, se il tema fossero le banche o
altre questioni finanziarie, il governo potrebbe trovarsi in grave
imbarazzo a salvarsi con i voti di Ala. Il che dovrebbe spingere e forse
obbligare Renzi ad accettare un confronto più serrato con la minoranza,
almeno sui passaggi davvero delicati dell’azione di governo. Per il
resto, occorre distinguere la realtà dalle polemiche. Verdini non è
l’alfiere del “partito della nazione”, come si tende a dire, per la
semplice ragione che egli sa di non poter reggere in alcun modo il peso
di una spaccatura del Pd. Non esiste, almeno nel futuro prevedibile, lo
scenario di un Pd diviso a metà e di un Verdini che sostituisce gli
scissionisti. È invece possibile che il caso Verdini accentui fenomeni
di logoramento dell’esecutivo a cui Renzi dovrà porre rimedio.