Il Sole 18.2.16
Sinistra Pd, assist per la sopravvivenza
di Emilia Patta
Che
il senatore Denis Verdini avesse cinque processi in corso era cosa
nota. Tant’è che la minoranza Pd non ha certo atteso la condanna di ieri
per andare all’attacco. La polemica interna al partito del premier
contro il presunto “Partito della Nazione” che guarda a destra invece
che a sinistra è in atto da mesi, da quando cioè Verdini ha lasciato
Forza Italia per formare in Senato quel gruppo Ala che, forte di 19
teste, ha già votato le riforme costituzionali e le unioni civili
assieme alla maggioranza. E colpisce che proprio ieri, giorno della
sentenza del Tribunale di Roma, Bersani abbia rilasciato alla Stampa un
colloquio in cui addirittura lega il suo appoggio al referendum
confermativo sulla riforma del Senato e del Titolo V previsto per
ottobre a una condizione extra-merito che ha al centro, ancora una
volta, Verdini: «Non vogliamo che sia un plebiscito pro o contro Renzi e
pensiamo che chi vota no abbia completa legittimità a restare nel Pd, e
su questo pretendiamo un chiarimento politico. E inoltre non vogliamo
che il referendum diventi un viatico per una nuova maggioranza politica
con Alfano e Verdini». Ecco, pretendere una sorta di libertà di
coscienza al referendum sulla riforma della Costituzione al quale il
premier e segretario del Pd ha legato il suo destino politico («se
perdiamo si va a casa») è qualcosa di più di una dichiarazione di
guerra. Quanto a Verdini, Renzi stesso ha detto più di una volta che si
tratta di una “alleanza” per le riforme - in continuità con lo spirito
del patto del Nazareno rinnegato da Berlusconi - che non prelude ad
alcuna alleanza alle prossime elezioni politiche. Anche perché con
l’Italicum, con il premio alla lista e non alla coalizione, la vocazione
maggioritaria è destinata a diventare realtà: non saranno possibili
coalizioni né con la destra né con la sinistra, e nessuno nel Pd -
neanche Bersani - pensa davvero che Renzi abbia intenzione di candidare
Verdini e i suoi con il simbolo del Pd. Semmai Renzi potrebbe auspicare
la formazione di una lista di centro che, se superasse lo sbarramento
del 3%, potrebbe tornare utile come supporto nella prossima Camera dal
momento che il premio dell’Italicum è a conti fatti di soli 25 voti.
E
qui, ci pare, ci avviciniamo al vero oggetto del contendere, che non è
evidentemente l’impresentabilità o meno di Verdini. Intanto i senatori
verdiniani sono pericolosi dal punto di vista della sinistra dem già
ora, in questo Parlamento, perché i loro voti rendono ininfluenti o meno
influenti quelli della minoranza del Pd in Senato. E poi c’è una
questione più generale di sopravvivenza politica, che naturalmente è la
sopravvivenza di una delle tradizioni che hanno dato vita al Pd, quella
di provenienza Pci-Pds-Ds, e non certo la sopravvivenza di carriere
personali. Il prossimo congresso, previsto a fine 2017 e che non a caso
il bersaniano Roberto Speranza ha chiesto di anticipare, sarà importante
per “pesarsi” anche in vista della composizione delle liste per le
elezioni politiche. Se è assai improbabile che Renzi venga scalzato
dalla guida del Pd, una buona riuscita percentuale del suo competitore
avrà l’effetto di garantire alla sinistra dem più seggi alla Camera e
dunque più influenza politica. Per questo la minoranza del Pd ha tutto
l’interesse a tenere acceso il fuoco della polemica. Su Verdini e su
altro, come dimostra il caso scoppiato sempre ieri del referendum sulle
trivelle che si voterà il 17 aprile: con la segreteria del Pd che per
bocca dei vice Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani si schiera per
l’astensione («è un referendum inutile») e la sinistra dem che con
Gianni Cuperlo si schiera per la partecipazione cavalcando il tema
ecologista. Ma il gioco al rialzo, che al di là delle questioni di
merito che pure dividono è anche come si è visto una legittima questione
di sopravvivenza politica, è molto rischioso. Non solo per Renzi.
Gridare sempre al “lupo Verdini” potrebbe infatti non fidelizzare
affatto gli elettori più di sinistra mentre potrebbe far scappare gli
altri, visto che le liti interne non piacciono né nel centrosinistra né
nel centrodestra. E se affonda la barca affonda con tutto l’equipaggio,
ché come giustamente nota lo stesso Bersani fuori dal Pd lo spazio è
ridotto.