mercoledì 16 marzo 2016

Repubblica 16.3.16
Le quattro destre per il Campidoglio
di Claudio Tito

«UNA mamma non può fare il sindaco». Questa frase, pronunciata da Silvio Berlusconi con la irresponsabile disinvoltura di sempre, non è solo sbagliata. Spiega da sola lo stato confusionale in cui versa il centrodestra. È evidente che a nessuno, se non a qualche anziano e nostalgico signore, verrebbe in mente nel 2016 di chiudere una donna incinta nell’angusto recinto della inattività, professionale o politica. Questo errore, per il leader di Forza Italia, assume un profilo ulteriore. E forse peggiore. Segna l’incapacità di cogliere il momento. Se il Cavaliere aveva una qualità, era quell’istinto primordiale a capire il sentimento della maggioranza degli italiani. A mettersi automaticamente in sintonia. Una risorsa che in passato lo ha distinto dai suoi avversari. Non aver capito invece che quel giudizio così semplicistico e banale avrebbe provocato al contrario una distonia, è l’ultima prova che il passato non può tornare.
MA i suoi avversari “interni” non stanno meglio di lui. La corsa al Campidoglio si sta sempre più trasformando in una sterile e incredibile resa dei conti nel centrodestra. I cui effetti riescono solo a rimarcare il caos e il marasma che regna in quel campo.
Basti pensare ad un solo dato: ci sono quattro candidati che si presentano ai romani dichiarandosi di destra o di centrodestra. C’è Guido Bertolaso, Giorgia Meloni, Francesco Storace e Alfio Marchini. Quattro nomi per spartirsi una torta elettorale che nelle ultime competizioni non ha quasi mai superato il trenta per cento dei consensi. Una circostanza che al di là dei giudizi sui singoli concorrenti, è del tutto priva di senso. Sono i risultati di una coalizione che ormai sbanda da almeno cinque anni. Incapace di darsi un ordine e soprattutto impossibilitata ad affidarsi ad un leader riconosciuto e riconoscibile.
Se Berlusconi è ormai esaurito dai fallimenti del suo ventennio e dall’anagrafe, anche gli altri non sembrano in forma. Né la Meloni, né Salvini, né Marchini rappresentano una calamita in grado di attrarre tutti i voti che riempiono il grande bacino dei moderati, dei conservatori e dei radicali di destra. Ognuno di loro si prende uno spicchio. L’ex missina attira quei pochi elettori che si definiscono ancora fascisti o postfascisti. Il capo del Carroccio solletica il ventre populista e antieuropeo provando a fare concorrenza ai grillini. E Marchini insegue quella quota di elettori moderati non persuasi da Renzi. Al momento sono solo in grado di giocarsi tutte le loro carte per sgombrare il campo da Berlusconi.
La conseguenza, però, è che il centrodestra nella Capitale d’Italia con ogni probabilità si scioglierà nei quattro rivoli dei suoi candidati-sindaco. Alla fine a trarne vantaggio sarà con ogni probabilità il Movimento Cinquestelle. Il profilo dei pentastellati strutturalmente demagogico e via via più destrorso sta infatti diventando un’alternativa per gli elettori più radicali della destra. E forse non è un caso che la loro candidata sindaca abbia avuto in passato un’esperienza professionale con l’ex ministro berlusconiano Cesare Previti.
In parte anche il Pd potrebbe ritrovarsi una piccola dote inaspettata, soprattutto da chi voterà confidando nella stabilità. Per Forza Italia, per la Lega e per Fratelli d’Italia, dunque, un ennesimo suicidio. Che magari sospingerà definitivamente il Cavaliere fuori dalla politica — o magari lo incentiverà a richiedere un nuovo patto del Nazareno con Renzi in vista del referendum costituzionale di ottobre nel tentativo di ribaltare l’ammutinamento dei suoi ex fedelissimi — ma soprattutto azzererà di fatto il campo del centrodestra.
Lo impacchetterà per consegnarlo ad un futuro leader, proprio come avvenne nel 1994 con la diaspora democristiana e l’ascesa di Berlusconi. E gli attuali piccoli capi faranno solo i conti con le macerie. Mostrando ancora una volta l’immagine di una alleanza inadatta a presentarsi come forza di governo. Perché le elezioni a Roma non sono mai solo amministrative. È un test nazionale. Di cui tutto il Paese risente. Presentarsi alle urne divisi, disorientati, improvvisati e sostanzialmente senza appeal, equivale a tagliarsi la strada anche per l’appuntamento del 2018. Sempre che quell’appuntamento non venga persino anticipato di un anno.