martedì 15 marzo 2016

Repubblica 15.3.16
La scuola scopre l’ora di cinese “È la carta giusta per trovare lavoro”
Decuplicati i corsi alle superiori oggi è la quinta lingua più studiata
di Corrado Zunino

ROMA. Dieci anni dopo il primo esperimento di mandarino insegnato in classe — liceo statale Pigafetta di Vicenza — la lingua cinese, con tutta la sua distanza grafica e fonetica, è diventata stabilmente la quinta straniera nelle scuole italiane. Sono centocinquanta gli istituti superiori, licei linguistici e internazionali, scuole per geometri e ragionieri, qualche professionale, coinvolti. Gli accordi siglati al ministero dell’Istruzione oggi fanno sì che il tre per cento delle scuole italiane abbia (almeno in una classe) il cinese di curriculum. Si porta all’esame di maturità, scritto e orale. Non sono ancora i mille licei americani allestiti già nel 2010, ma cinquemila studenti italiani tra i 14 e i 19 anni per cinque- sette ore a settimana oggi s’impegnano a cercare i radicali della lingua orientale, a memorizzare caratteri che sottendono monosillabi stretti. «Qualcuno inizia ad accompagnare i suoni con i movimenti dolci della testa », raccontano i docenti madrelingua, «e avere un buon orecchio musicale aiuta».
Nel 2008 erano 535 i ragazzi impegnati a scuola nel lessico: in otto stagioni i numeri dei discenti si sono decuplicati. Negli anni Novanta la lingua cinese si insegnava solo in quattro università italiane, oggi è difficile trovare un ateneo che non abbia un corso di laurea dedicato. Il mandarino scolastico si è diffuso nei territori con un forte tessuto produttivo, il Veneto pioniere, poi la Lombardia (34 sedi di scuole superiori) e l’Emilia Romagna. Nei programmi esteri di Intercultura la Cina è diventata il secondo Paese di approdo per gli studenti italiani dopo gli Stati Uniti. Si avvistano, tra l’altro, i primi esperimenti di studio-gioco alle elementari. “Kung fu Panda” e “Mulan”, i cartoni, sono stati utili.
Il liceo Manzoni di Milano ormai dirotta più della metà di coloro che passano il test di selezione su corsi alternativi: non c’è spazio per tutti quelli che vogliono studiare cinese. Emergono il Grazia Deledda di Genova e il Convitto nazionale Foscarini di Venezia. Sì, i convitti — che ospitano studenti fino a pomeriggio inoltrato, spesso anche la notte — sono diventati luoghi di eccellenza per la lingua. A Roma il Vittorio Emanuele II con affaccio sul Tevere nei primi tre anni prevede una
full immersion dei suoi studenti a Pechino (Università delle lingue di Beiwai) o a Shanghai (East China Normal University): tre settimane, il costo per famiglia è sui 2.500 euro. Filippo e Anna, quarta liceo, raccontano: «In Cina ci fanno sentire al centro del mondo, i nostri coetanei hanno una curiosità verso l’Europa che abbatte le barriere». Davide, 18 anni, figlio di una famiglia non agiata di Arma di Taggia, ha scoperto il convitto romano su internet e, una borsa di studio dopo l’altra, ora è solo e soddisfatto a Chongqing, otto milioni di abitanti nella Cina meridionale. Si prepara al doppio esame Hskk: certifica il livello linguistico.
Al settimo anno di cinese curricolare, il Convitto romano è passato da ventotto studenti a 245, in mandarino s’insegnano anche storia e geografia. Il responsabile dell’aula Confucio, Francesco Alario, dice: «Questo progetto internazionale, in ultima analisi, dà lavoro ai giovani».