Repubblica 15.3.16
Caro maschio ci fai ridere
di Natalia Aspesi
Ese
il vecchio e scaltro Bertolaso avesse ragione? Se a ogni donna incinta,
operaia, amministratrice delegata, mendicante, diva, escort, quindi
anche sindaca, fosse consigliato di lasciare il lavoro, con un bello
stipendio da parte ovviamente dello Stato?
PER fare solo la
pre-mamma e la mamma, non per qualche mese soltanto ma almeno per
qualche anno, ritrovando poi il suo lavoro e il suo stipendio? Permesso
anche alla casalinga stessa, che smettendo di cucinare, rifare i letti,
fare il suo dovere di sposa, sostituita da una casalinga statale in
tutte le mansioni, potesse dedicarsi solo a questo mestiere solo a lei
femmina consentito, per seguirlo a tempo pieno.
In questo caso
essere donna e madre potrebbe essere in sé una libera professione al
servizio della Patria e anche l’incinta Meloni potrebbe usufruirne senza
infastidire Bertolaso e compagni, evitando di vomitare durante la
campagna elettorale e di perdere le acque durante una manifestazione di
piazza. Ma soprattutto togliendo all’aspirante sindaco almeno un motivo
per dichiarazioni sceme, che purtroppo lo aiuterebbero a vincere le
elezioni, con ovvi danni alla città già molto danneggiata. Un sindaco
che allatta durante una accesa battaglia in giunta renderebbe invece la
Meloni sempre vincente, perché anche i suoi più duri antagonisti maschi
arrossirebbero guardando altrove: ma anche in questo caso a perdere
sarebbe di nuovo Roma, e non a causa di mamma Meloni, ma semplicemente
della Meloni.
Essendo da almeno cinquant’anni femminista, non
vorrei essere giudicata maschilista se oso dichiarare che la signora
Patrizia Bedori ha fatto molto bene a ritirare la sua candidatura, che
non avrebbe neppure dovuto proporre, per molte ragioni. Perché se una
può diventare sindaco perché in 74 l’hanno votata online, non pare
proprio un furor di popolo, anche nel suo stesso noiosissimo movimento
già molto antiquato. Perché ha smascherato definitivamente il finto
giovanilismo democratico dei suoi compagni elettronici che l’hanno
insultata perché “casalinga e disoccupata” come milioni di altre donne e
ormai molti uomini disoccupati e casalinghi in quanto soli. Che l’hanno
definita «brutta, grassa e obesa», come molti rispettati onorevoli
maschi, quindi di meritare di essere «buttata fuori a calci in culo».
Bastava dire che, come la maggior parte dei suoi compagni, non sembrava
preparata al difficilissimo ruolo di sindaco di Milano, soprattutto dopo
Pisapia.
Del resto, anche in passato i ragazzi Cinque Stelle
avevano dimostrato la loro paura delle donne, come Massimo De Rosa che
ha onorato le colleghe del Pd con un complimento forse invidioso: «Voi
siete qui solo perché siete brave a fare i pompini!». Brutte non le
vogliono quegli incontentabili, ma neanche belle. Nicola Morra, senatore
M5S: «La ministra Boschi sarà ricordata più per le forme che per le
riforme» (per saperne di più c’è il libro Stai zitta e va’ in cucina di
Filippo Maria Battaglia).
Resta un problema più vasto del misero
maschilismo dei politici, che dovrebbero avere la furbizia di pensare
ogni nequizia ma di non dirla. Se le femmine sono femministe coscienti
di esserlo in gruppi privilegiati ma non oceanici, i maschi sono per
natura da sempre maschilisti. Lo sono stati per secoli, per legge,
religione, natura, cultura, storia, denaro, potere e mamme adoranti. Da
anni cercano di correggersi, da quando negli anni Settanta si misero
persino a fare autocoscienza come le ragazze. Ma non ce la fanno sino in
fondo. Ogni tanto il maschio militante salta fuori, lancia un’ingiuria
sempre fisica e sessuale, o, se è molto nervoso, taglia la gola della
donna che non fa finta di adorarlo comunque e di essere certa della sua
superiorità. Che fare? Niente, stare zitte, ridere a ogni bertolasata,
che più o meno sempre ci sarà, e prendersi tutto quello che ci spetta
non tanto come donne quanto come esseri umani.