La Stampa 15.3.16
Chiti: D’Alema e Bersani sbagliano ora bisogna impegnarsi per vincere
E sul doppio ruolo dimenticano cosa dicevano di Prodi
intervista di Carlo Bertini
Per
uno come Vannino Chiti, che viene dal Pci, che ha governato una regione
rossa come la Toscana ed è stato ministro delle Riforme nel secondo
governo Prodi, quello in cui D’Alema guidava gli Esteri e Bersani
l’Industria, non è certo esercizio indolore criticare i compagni ed ex
leader per ciò che vanno sostenendo adesso.
Ha sentito cosa dice Renzi, dibattito surreale nel Pd. Condivide?
«Ho
visto che delle grandi questioni di strategia poste se ne parlerà in
Direzione e al congresso. Mi piace più questo approccio. Ci sono temi da
discutere importanti sulla sinistra. Bisogna confrontarsi per trovare
un’unità vera, ma bisogna tutti abbassare toni. Se si dà impressione di
una rissa si allontana la gente, se invece si fa un confronto serio si
favorisce la partecipazione».
E ha qualcosa da suggerire a Bersani e D’Alema?
«Non
sono d’accordo sulla richiesta che pongono entrambi di un congresso
anticipato. Per una serie di motivi: ci sono le comunali e bisogna
impegnarsi a vincerle. Poi c’è il referendum in autunno. E c’è infine la
necessità di essere protagonisti nel rilancio dell’Unione europea per
le esigenze di sviluppo e di diritto al lavoro. C’è poi un’altra
questione...».
Quale?
«Io cambierei prima lo statuto. Per
come è ora, un congresso vero non può esistere: perché prima c’è un
confronto tra iscritti che spesso è solo sulle persone, poi si fanno le
primarie tra chi ha superato il 12% nel voto degli iscritti: primarie
aperte a tutti quelli che passano, che eleggono non solo il segretario,
ma l’assemblea nazionale, cioè i massimi organismi di un partito. Molti
dei nostri mali derivano da questo statuto, che abbiamo lasciato noi in
eredità al segretario attuale. Quindi andrebbe fissata una distinzione:
il segretario e la direzione politica eletti dagli iscritti e fare le
primarie per le cariche pubbliche e di governo. E la crisi delle
primarie dipende dal fatto che consentiamo la mattina stessa di andare
ai gazebo e votare. Non abbiamo mai realizzato l’albo degli elettori che
va chiuso tre mesi prima e che può prevenire incidenti».
Che
utilità avrebbe a ridosso delle comunali un congresso anticipato?
Contarsi per sapere quante candidature spetteranno poi alla minoranza
Pd?
«Anche se non c’è questo nelle intenzioni di chi lo chiede,
questa sarebbe l’impressione. Invece ci serve affrontare le sfide della
sinistra e dare la priorità al nuovo partito da costruire prima che il
congresso si faccia nel 2017. Inoltre non credo sia giusto separare i
due ruoli di leader Pd e capo del governo. Perché è così in gran parte
d’Europa e ci siamo dimenticati troppo rapidamente dell’esperienza con
Prodi: in cui tutti noi, compresi Bersani e D’Alema, abbiamo detto che
serviva al ruolo di premier avere dietro un partito. E vale ieri come
oggi. Altra cosa è dire come funziona un gruppo dirigente e quale sia la
sua qualità».
È una scissione lo sbocco inesorabile di tanto
astio? Anche lei percepisce il progressivo distacco sentimentale di un
popolo evocato da D’Alema?
«È vero che settori della nostra gente
si sentono delusi. Vanno riconquistati, ma se si dà l’impressione di un
confronto tra separati in casa la accentuiamo questa disaffezione.
Nessuno credo voglia la scissione, ma non bisogna dare l’impressione del
contrario».
Si profila il rischio di un bis di Genova anche a Roma e Napoli?
«Ci
sono ancora margini. La premessa è che una componente di un partito non
può votare per un candidato non espresso da quel partito. Ma sono due
situazioni diverse: a Roma nessuno ha messo in discussione l’esito. A
Napoli il problema è più serio, non mi convince la decisione della
commissione dei garanti. Le primarie non sono elezioni regolate da
legge. In più qui il voto di due seggi poteva influire sul risultato
finale. Avrei fatto rivotare in quei seggi. Ci avrebbe guadagnato
trasparenza, rigore e tutto il Pd. Nel 2013 lo statuto non prevedeva
nuove primarie per il candidato premier: Bersani le fece decidere per la
tenuta del partito, non per un atto di cortesia a Renzi. Per me Valeria
Valente stessa avrebbe dovuto richiedere quella scelta».