martedì 15 marzo 2016

Corriere 15.3.16
Uno strappo che può arrivare anche al nord
di Massimo Franco

I contrasti stanno diventando qualcosa in apparenza irreparabile. La Lega evoca un «muro contro muro» tra Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Dunque, FI contro Carroccio. Le elezioni comunali di giugno rappresentano un catalizzatore non solo di tensioni ma di strategie che non riescono più a riconciliarsi. Dieci mesi fa, alle Regionali, si celebrava il ritorno all’unità del fu Pdl: un miracolo che permise vittorie a sorpresa come in Liguria. Ma il miracolo alla lunga non ha retto, perché la competizione per la leadership si è acuita.
Forse ha ragione chi sostiene che il centrodestra è dominato dal binomio Salvini-Giorgia Meloni. E cioè dai leader di due partiti estremisti, che nel 1994 Berlusconi riuscì a fare alleare solo grazie all’artificio di una doppia alleanza: col Carroccio a Nord; con An nel Centro-sud. Adesso, pezzi di quelle due componenti si coalizzano a Roma per liquidare un fondatore logorato come linea e come voti. E probabilmente ci riusciranno; ma col risultato di rendere più difficile la vittoria.
Si indovina la diffidenza verso Salvini e la Meloni di ampi settori di elettorato centrista. La tentazione dell’astensionismo è forte. Ma se il «muro contro muro» si avvera bisogna aspettarsi un’esplosione polemica. Se ne ha già sentore quando la Lega insinua che Berlusconi «si incaponisce su un candidato a detta dei sondaggi perdente»: quel Guido Bertolaso additato ieri per una frase infelice sulla Meloni che aspetta un bambino: «Faccia la mamma». Il problema non è quello, però, quanto una domanda del Carroccio gonfia di veleno.
«Ma chi stiamo favorendo? Forse Renzi?». L’accusa sempre meno larvata al vertice di FI è di far sopravvivere nelle urne il patto del Nazareno di due anni fa, rotto ufficialmente con l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale nel 2015. Berlusconi sceglierebbe candidati deboli per consentire a quelli di un Pd diviso di arrivare ai ballottaggi. L’accusa è fatta per alimentare sospetti e diffidenze. Ma rinvia alla subalternità parallela di Salvini, che si è detto pronto a votare per il M5S al secondo turno. L’impressione è che FI ormai preferisca perdere con propri esponenti, invece di risultare perdente e aggregata alla Lega.
Dinamiche simili riflettono uno schieramento rassegnato a combattere non per il governo, ma per plasmare la propria opposizione. Si tratta di un mondo frantumato, orfano della leadership berlusconiana e incapace di ritrovarla sotto l’ala di Salvini. Se la Meloni fosse candidata tutto il centrodestra, Bertolaso giura che si ritirerebbe. Ma ormai il problema sono i rapporti sul filo della rottura tra Berlusconi e Salvini. E in Lombardia cresce il timore che uno strappo possa incrinare l’unità residua del centrodestra.