domenica 13 marzo 2016

Repubblica 13.3.16
Il ruolo della Germania
di Angelo Bolaffi

LA GERMANIA è di nuovo sul banco degli imputati. Negli anni passati, durante la crisi finanziaria impropriamente definita “crisi dell’euro”, i Paesi indebitati del Sud del Vecchio Continente avevano criticato la cancelliera Merkel per la sua concezione “austera” dell’economia e la visione ordo-liberale della società tipica del Modell Deutschland. Oggi, invece, ad essere oggetto di critica è la politica della accoglienza dei migranti e l’ostinata decisione della Merkel di «tenere aperti i confini». In un paradossale rovesciamento dei fronti questa volta a fianco della Merkel si sono schierati Paesi, come l’Italia e la Grecia, che durante la precedente crisi ne erano stati i più fieri avversari. Mentre le obiezioni più radicali sono venute dai settori più conservatori della politica e della società tedesca come pure dai Paesi dell’est europeo, a cominciare dalla Polonia e dall’Ungheria, tradizionalmente molto sensibili all’influenza della politica della Germania. Nell’immaginario collettivo del Sud d’Europa colei che era stata raffigurata come “matrigna d’Europa”, arcigna espressione di una visione senza cuore della politica e nei giorni più drammatici della crisi greca addirittura come un Hitler redivivus, si è d’incanto trasformata in motivo di stupefatta sorpresa, addirittura in ammirazione. E l’espressione “wir schaffen das”, che la scrittrice Ruth Klüger sopravvissuta alla Shoà nel suo discorso dinnanzi al Bundestag nel Giorno della memoria ha definito «eroica», è stata paragonata al gesto anch’esso “eroico” compiuto da Willy Brandt il 7 dicembre del 1970 quando si inginocchiò dinnanzi al monumento del Ghetto di Varsavia. Un gesto col quale la Germania fece pace con se stessa e col mondo. Invece, secondo i critici della politica decisa dalla Germania per affrontare l’epocale fenomeno migratorio, il «rendez vous con la globalizzazione» come l’ha definito Wolfgang Schäuble, Angela Merkel avrebbe compiuto un errore di portata storica e la sua decisione dominata da impolitica etica della convinzione (e dal senso di colpa storica) rivelerebbe la totale assenza di una visione strategica e persino di basilari cognizioni geo-politiche. Angela Merkel ha «un cuore ma non un piano» ha sentenziato l’ex cancelliere Gerhard Schroeder. E lo scrittore e filosofo Rudiger Safranski ha rincarato la dose affermando che «nella politica domina un infantilismo moralistico». In realtà entrambe queste critiche sono pretestuose e unilaterali. La cancelliera non ha agito negli anni della crisi finanziaria da Merkiavelli (Ulrich Beck) come, invece, per giustificare la pratica del loro malgoverno l’hanno raffigurata i politici dei Paesi “mediterranei” e con loro i media che hanno cercato di manipolare l’opinione pubblica mediante campagne antitedesche. Ma neppure si è trasformata a partire dal tardo autunno dello scorso anno in una benevola ma impotente Madre Teresa di Calcutta in versione berlinese come sostengono i rappresentanti “neoguglielmini” della nouvelle droite allemande. Ha semplicemente cercato, pur tra mille incertezze, ritardi e persino errori, di trovare una soluzione “europea” alle nuove sfide. Ma allora perché simili incomprensioni? La verità è che occorre prendere atto che questo processo cumulativo di crisi che rende oggi plausibile persino l’ipotesi estrema fino a ieri impensabile di un fallimento del progetto politico di unione europea è manifestazione di qualcosa di più profondo e sistemico. Un rivolgimento epocale sta ridefinendo le gerarchie di potere su scala planetaria e la composizione demografica dei singoli Paesi sconvolgendo classi e culture. Tra i popoli europei sono riaffiorate antiche ostilità e nuove idiosincrasie mentre molti leader politici anche di sinistra e opinionisti una volta campioni del libero mercato sono tentati dalla fatale illusione di una autarchia economica e spirituale. Risentimenti neo-identitari si coniugano a reazionarie ideologie anti-universalistiche nel crogiolo di una evidente impotenza delle classi politiche di fronte a movimenti di protesta populistici e tendenzialmente estremistici. In un’Europa attraversata da pulsioni etnocentriche e ossessionata dalla prospettiva di rivolgimenti globali percepiti solo come oscure minacce e mai giudicati come potenziali chance di cambiamento, si è diffusa la sensazione che l’epoca di pace durata oltre mezzo secolo sia stata una felice ma transitoria parentesi.
L’unica possibilità per la civiltà europea di sopravvivere salvando le sue conquiste sociali e normative è la sua unione. Diventare “un grande spazio” in grado di competere su scala globale con gli altri Stati- continente che oggi agiscono sulla scena planetaria. Nessuna nazione europea neppure la “grande Germania” può sperare di farcela da sola. Prevarranno le spinte centrifughe nel segno di un “si salvi chi può”? O sulle tentazioni del “sacro egoismo nazionale” avrà la meglio la solidarietà tra europei consapevoli che per i singoli Paesi del Vecchio continente non c’è futuro al di fuori della comune casa europea? Durante e a causa della crisi dell’euro l’Europa si è divisa lungo l’asse Nord-Sud: tra Paesi “indebitati” e Paesi “virtuosi”. La sfida della nuova Guerra fredda voluta dalla Russia di Putin ha aperto una faglia geopolitica lungo l’asse Est-Ovest. La crisi dei profughi, infine, ha provocato un isolamento della Germania che nel fragoroso silenzio della Francia ( e l’ostilità della Polonia) sembra poter contare solo sull’appoggio di Italia e Grecia, i due Paesi per i quali la fine di Schengen avrebbe conseguenze catastrofiche. Se l’obiettivo del “nuovo europeismo” è diventato quello di unire economicamente e strutturalmente l’Europa per metterla in grado di rispondere alle sfide della globalizzazione, la “nuova narrazione” di cui ha bisogno l’Europa parla non solo di pace ma anche di potenza. Tocca alla Germania, Paese che delle tragedie storiche europee è stata la causa principale, assumersi il compito difficile e rischioso di guidare e convincere ma non di comandare l’Europa verso il grande obiettivo della sua unità politica, sociale ed economica.