sabato 12 marzo 2016

Repubblica 12.3.16
Dietro alle frecce della sinistra c’è una partita più complessa
È la diaspora l’ultima frontiera di una minoranza senza progetto
di Stefano Folli

PIÙ che una scissione, oggi la prospettiva che si apre davanti alla minoranza del Pd è quella di una dispersione. Una lenta, inesorabile diaspora intessuta di rancori personali e di insofferenza politica verso la guida di Renzi. Le liste di sinistra di cui si vocifera, da mettere in campo nelle varie città contro i candidati “renziani” alle amministrative, equivarrebbero a una frattura insanabile.
EPPURE non segnerebbero l’avvio di una classica scissione. Per la quale manca un progetto politico coerente, una tensione di fondo e un’idea del “che fare”. Sulla base di una generica frustrazione si può contribuire alla sconfitta elettorale di Renzi, ma non si alimenta ancora un disegno alternativo.
Ecco perché le dichiarazioni rese ieri da D’Alema al
Corriere della Sera hanno fatto rumore, certo, e suscitato persino sconcerto per la durezza degli attacchi personali rivolti non solo al premier, ma a qualcuno dei suoi ex collaboratori. Eppure l’intervista non può esser letta come l’annuncio che sta per nascere una nuova formazione alla sinistra di Renzi. La partita è molto più complessa e tutti devono saper distinguere le speranze dalla realtà. Chi è contro Renzi nel Pd giocherà con attenzione le proprie carte, se non vorrà dissolversi in modo definitivo agevolando, anziché frenarla, la marcia del premier- segretario.
Un critico assai severo dell’attuale presidente del Consiglio, ossia l’anziano Emanuele Macaluso, uno dei superstiti dell’antico gruppo dirigente del Pci, ha scritto sul suo “blog” frasi piuttosto critiche nei confronti di questa uscita di D’Alema. Di cui non contesta l’analisi quando vuole descrivere il malessere del Pd e la crisi oggettiva della sinistra. Tuttavia Macaluso non ritiene che D’Alema sia oggi credibile come ricostruttore del centrosinistra. E lo spiega con argomenti politici, ricordando che «quando Renzi vinse le primarie e fece fuori Letta (anche lui fondatore del Pd) non protestò, non si schierò, non avviò una lotta allora. La lotta per lui cominciò quando Renzi gli preferì la Mogherini nell’incarico europeo per la politica estera ». Questo per dire che talvolta «è difficile capire quando comincia la lotta politica e quando finisce una questione personale».
Tuttavia è vero che D’Alema ha posto una serie di interrogativi che non possono essere ignorati con un’alzata di spalle. Lo ha fatto con un linguaggio aspro mentre a Perugia si apriva il convegno della minoranza Pd, occasione per riflettere sulle amarezze del presente e sugli errori commessi. E qui anche chi non lo ama, chi lo vorrebbe tenere a distanza o lo considera un personaggio del passato, non può non tener conto del suo “contributo culturale” al dibattito. Perché in effetti l’area a sinistra di Renzi è di fronte a un bivio cruciale. Lo scenario della diaspora equivale a una condanna all’irrilevanza. Ma riscoprire un profilo riformatore legato alla tradizione rischia di essere un esercizio tardivo.
In ogni caso, Cuperlo chiede al gruppo dirigente del Pd, cioè a Renzi, di non rigettare i problemi posti da D’Alema. Ed Enrico Rossi, convinto che la “battaglia per rifare la sinistra” debba svolgersi all’interno del partito, si appella a Renzi affinché imbocchi la via del confronto. Entro domani sapremo quale sarà la risposta del premier. L’uomo è capace anche di pragmatismo, quando gli conviene, ma stavolta la sfida è molto dura. Sono in gioco le amministrative nelle grandi città e il centrosinistra ha offerto fino a oggi uno spettacolo di divisioni che ne ha accentuato tutti i limiti politici. Anziché duellare con D’Alema sui media, forse a Renzi converrebbe pagare qualche prezzo per evitare l’inizio del logoramento. Che può cominciare anche sul terreno concreto dell’azione di governo. Per esempio la lettera dei venti senatori che contestano la riforma del credito cooperativo rappresenta per lui un’insidia persino peggiore delle guerre di corrente. Da dove cominciare quindi per far rientrare le tensioni? Il caso Bassolino può essere un buon terreno, visto che il rigetto del ricorso presentato dall’ex sindaco dopo le primarie è un episodio non solo grave, ma umiliante. Soprattutto è un danno per l’intero Pd.