Corriere 12.3.16
Gli schieramenti in conflitto favoriscono m5s nelle città
di Massimo Franco
Sembra
che stiano lavorando tutti per il Movimento 5 Stelle. Alcuni forse
calcolando di trarne qualche beneficio, altri in modo involontario. I
conflitti paralleli dentro l’area del Pd e nel centrodestra dimostrano
la volatilità delle alleanze che hanno segnato l’ultimo ventennio; e
l’impossibilità di tenere in vita schieramenti del passato, segnati da
uno scontro per il primato che rivela una profonda crisi di identità. I
brogli, gli accordi siglati e saltati in poche ore, sono misteri
spiegabili facilmente: nessuno riconosce non solo gli avversari ma gli
alleati.
La frantumazione della società e la prevalenza di
microinteressi sono riflessi fedelmente dalle forze politiche. I partiti
si mostrano incapaci di andare oltre un’astratta rivendicazione di
leadership, di disciplina interna, di retorica sul rispetto delle
regole, contraddette in modo maldestro. Quanto avviene all’ombra del Pd
romano ha un aspetto locale dovuto alle inchieste giudiziarie. Ma Mafia
Capitale rischia di diventare un alibi per velare problemi di politica
nazionale. Altrimenti non si capirebbero le tensioni sulle primarie a
Napoli, che potrebbero essere annullate dopo la denuncia delle
irregolarità.
Né si spiegherebbero le tensioni diplomatizzate ma
evidenti che a Milano accompagnano la candidatura di Giuseppe Sala; o lo
scontro tra Pd nazionale e presidenti di regione come Michele Emiliano
in Puglia. Il tentativo è di opporre il «profumo d’Ulivo» di Romano
Prodi, evocato dall’ex segretario Pier Luigi Bersani, al «partito della
Nazione» di Renzi. Lo schema, però, suona troppo semplicistico. A
scontrarsi sono pezzi di nomenklatura, e grumi di potere economico che
ruotano intorno alle giunte locali. Vale a sinistra, e a destra.
Il
«no» di Matteo Salvini al candidato berlusconiano a Roma, Guido
Bertolaso, indurrà pure al sospetto di un «patto scellerato» tra Renzi e
Silvio Berlusconi per far perdere il centrodestra. Ma in realtà è il
prodotto della volontà leghista, con la destra di Giorgia Meloni, di
marcare il primato sull’area egemonizzata un tempo da FI; di umiliare
Berlusconi; e di legittimare il Carroccio sotto il Po. Anche se Salvini
scivola su attacchi violenti contro i giudici, che è costretto a
rettificare. Ma al di là di questo, si intravede il conflitto di
interessi di un blocco sociale privo di referenti.
La «leggerezza»
opaca del movimento di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio
prospera sulle patologie degli schieramenti. Se ne nutre. E di fronte al
gioco al ribasso dei partiti fa apparire candidabile chiunque. La
caricatura di democrazia offerta dal M5S con le sue primarie online, con
le consultazioni che gli avversari vedono pilotate dal vertice,
funziona. Sceneggia un modello alternativo di partecipazione rispetto a
partiti che a volte offrono un’immagine non meno scoraggiante.