Repubblica 12.3.16
Tra i libri proibiti di Hong Kong “Spie e censura addio libertà”
Nell’ex colonia la Cina distrugge i testi “sovversivi” e fa sparire librai ed editori
“Pechino ha cambiato strategia: non arresta più scrittori e intellettuali, ma chi vende e diffonde le opere non gradite”
La testimonianza delle vittime dell’ultima purga del regime “Clienti terrorizzati, così chiudiamo”
di Giampaolo Visetti
HONG
KONG UN cancello cromato sbarra la porta della libreria «Causeway Bay
Books». Sul lucchetto ci sono i sigilli. Tre uomini in nero fotografano
chi sale la scala che porta anche al centro d’estetica «Hot Nail».
Articoli di giornale, incollati alle pareti del pianerottolo,
suggeriscono che la «guerra dei libri» è scoppiata qui. Il numero 533 di
Lockhart Road è un edificio giallo e stretto. Sulla strada vendono
farmaci tradizionali cinesi e gabinetti. L’odore di una pescheria
impregna il negozio dei «libri proibiti», al primo piano. Dall’uscita
del metro si vede la vetrina: gli scaffali sono vuoti, sul cristallo c’è
il cartello «Affittasi». Un’auto e un furgone neri sostano davanti
all’ingresso. I passanti li aggirano per il timore di essere ripresi da
una telecamera che sporge da un finestrino.
Nessuno sale più nella
libreria e nella casa editrice «Mighty Current», travolte dalla più
plateale repressione contro la libertà di stampa mai scatenata da
Pechino contro Hong Kong. I due proprietari e tre dipendenti, tra
ottobre e fine dicembre, sono spariti. Riapparsi in Guangdong, nella
Cina continentale, hanno detto ai famigliari di essere stati arrestati.
L’accusa è contrabbando di testi che le autorità comuniste considerano
critici. Woo Chih-wai ha 75 anni, è autore di 120 «opere politicamente
sovversive» e fino all’ultimo ha lavorato per la casa editrice. «Sono
sfuggito alla retata – dice – perché Pechino nell’ex colonia non arresta
scrittori e intellettuali, ma i commercianti che diffondono i testi
banditi dalla censura». La comunità internazionale, anche all’Onu,
chiede alla leadership rossa di liberare i due soci della “Mighty
Current”, Lee Po e Gui Minhai, i loro dipendenti Lui Por, Cheung
Chi-ping e Lam Wing-kee. Dietro il braccio di ferro sulla loro libertà
personale, emerge però una resa dei conti politica ben più ampia e
spaventosa. «Pechino – dice Paul Tang – ha ufficialmente represso la
libertà di stampa anche a Hong Kong e per la prima volta ha arrestato
hongkonghesi e cittadini con passaporto straniero, al di fuori dei
confini nazionali». Il signor Tang ha 41 anni e gestisce il
caffè-libreria «Comunità ricreativa del popolo» a “Causeway Bay”. Il suo
è l’ultimo covo di libri vietati nella metropoli finanziaria che la
Gran Bretagna ha restituito alla Cina nel 1997.
Dietro il neon
rosso, con il profilo di Mao in nero, vende testi storici e politici,
biografie, le opere dei dissidenti, più un po’ di porno nascosto sotto
copertine di romanzi rosa: da Liu Xiaobo a Henry Kissinger, da Tienanmen
al «Grande balzo in avanti», dal Dalai Lama alle razzie della
Rivoluzione culturale, dalla «storia sconosciuta» del Grande Timoniere a
quella “vera” dell’attuale presidente Xi Jinping. In tutto il mondo
sono opere acquistabili: in Cina sono proibite, il possesso costa il
carcere per «sovversione». A Hong Kong sono ancora legali, ma sono
entrate nel limbo. «Fino a un mese fa – dice Paul Tang – ne vendevo
cento al giorno. Ora il business è finito: nessuno stampa, nessuno
compra, i clienti sono terrorizzati». Anche lui è sotto controllo.
Agenti in borghese, alla fermata dei taxi di fronte allo shopping center
di Times Square, identificano per «ragioni di sicurezza» chi sale in
libreria, passando dal piccolo cambiavalute. Per pagare l’affitto Paul
Tang adesso vende anche latte in polvere e vitamine per neonati.
I
travolti dal caso “Mighty Current” evitano di comunicare tra loro.
Telefoni, web e alloggi sono monitorati. Colloqui dal vivo permettono
però di ricomporre il quadro della grande purga. La repressione è stata
scatenata da Xi Jinping in persona. Piccoli contrabbandi di libri
proibiti prosperavano da sempre. Dall’autunno 2014, mentre il potere
filo-cinese era assediato dalla «Rivoluzione degli ombrelli» dei
pro-democratici, lo spaccio sarebbe diventato «su larga scala». A
Pechino è scattato il piano-sicurezza. I cinque librai spariti erano tra
i primi obbiettivi. «Ci accusano – dice Sophie Choi ka-ping, moglie del
direttore della “Causeway Bay Books – di aver consegnato 4 mila testi
vietati». Cifra modesta, ma nelle mani giuste in Cina gli effetti si
moltiplicano. Il best-seller era «Xi Jinping e le sue sei mogli », sui
retroscena segreti del presidente.
Affiora un precedente.
«L’editore della “Morning Bell Press” – dice lo scrittore Bei Ling –
ricevette la telefonata di un amico. Lo pregava di portargli alcuni
barattoli di vernice a Shenzhen. Fermato al posto di blocco di Lo Wu e
accusato di contrabbando, è stato condannato a dieci anni. Aveva appena
pubblicato il libro “Il padrino della Cina”, sempre su Xi Jinping».
Anche questo testo risulta scomparso, ma nella democratica e occidentale
Hong Kong il primo “rogo” di opere censurate assume ora
dimensioni-shock. Dai magazzini della “Mighty Current”, a Chai Wan, 45
mila libri sono partiti per il macero. Altri 55 mila sono stati
sequestrati per «irregolarità». Decine di migliaia vengono «ritirati per
controlli» dai chioschi che li offrono sottobanco, pena il ritiro della
licenza. «L’ordine di distruggere i testi – dice l’editore Jin Zhong – è
partito dalla moglie di Lee Po. La libreria è già stata data in affitto
e il 13 maggio chiuderà. Cerca così di ottenere il rilascio del
marito». Anche gli spedizionieri rifiutano di consegnare libri sul
continente. Prima la tariffa per il trasporto di «letteratura
specialistica» era di 10 dollari al chilo. Adesso è caccia agli
spalloni, che ne chiedono 50 per fare passare in Cina un solo testo. Ad
allarmare ancora di più è però il fatto che Pechino mandi i suoi agenti
in città e all’estero per sequestrare la gente, violando lo statuto «un
Paese due sistemi», valido fino al 2047. Le autorità comuniste negano,
ma i documenti provano il contrario. «Una mail inviata alla figlia di
Gui Minhai – dice l’attivista Albert Ho – conferma che suo padre è stato
prelevato nel proprio appartamento di Pattaya in Thailandia. L’ultimo
dipendente della “Causeway Bay Books” racconta che il pomeriggio del 30
dicembre Lee Po è improvvisamente uscito «per una consegna», scortato da
uno sconosciuto che parlava in mandarino». Una farsa sarebbero anche le
confessioni in tivù e la “liberazione” per buona condotta di due dei
librai scomparsi. «Sono rientrati a Hong Kong – dice Woo Chih-wai – per
dire alla polizia di non occuparsi più di loro. Poche ore dopo hanno
dovuto rientrare nel Guangdong». Il conto alla rovescia per libertà
d’espressione e incolumità dei cittadini allarma anche i mercati
finanziari. Jack Ma, il magnate preferito di Xi Jinping e fondatore del
colosso dell’e-commerce Alibaba, ha appena acquistato il South China
Morning Post, storico quotidiano liberal dell’ex colonia. Ora è in corsa
per il magazine economico Caixin. Nelle redazioni si teme che il
miliardario rosso faticherà a garantire i livelli di indipendenza.
«Pechino è sconvolta dal voto indipendentista di Taiwan – dice Audrey Ou
Yuet-mee, presidentessa del movimento civico – e accusa Hong Kong di
estremismo secessionista. Capisce di non poter assorbire nella Cina
autoritaria una potenza democratica come questa». I librai spariscono, i
testi proibiti vanno al macero, le case editrici chiudono, i giornali
vengono venduti. L’epoca ricca della sicurezza finisce, a Hong Kong si
apre l’era incerta della paura. Davanti alle sbarre della “Causeway Bay
Books” un uomo brucia con la sigaretta un articolo con la notizia
dell’arresto di Lee Po. Qualcuno l’ha incollato sul cartello «Sotto
sequestro ». «Qui dobbiamo demolire – dice – ma è tutto da risanare».