Corriere 12.3.16
La Tunisia che resiste alla minaccia dell’Isis
di Antonio Ferrari
Tra
pochi giorni, il 18 marzo, sarà passato un anno dal feroce attentato
dell’Isis contro il museo del Bardo di Tunisi, costato decine di morti e
centinaia di feriti. Era la prima dimostrazione che i tagliagole dello
Stato Islamico avevano scelto proprio la Tunisia, dolce e ospitale Paese
arabo, come un luogo-simbolo da colpire ferocemente.
Gli
obiettivi erano evidenti: annientare le poche risorse del Paese, che
vive soprattutto di turismo; indebolire la volontà democratica di un
piccolo Stato che ha saputo fare tesoro della purezza originaria delle
«primavere», che cominciarono proprio laggiù con la rivolta popolare
dopo il sacrificio di Mohamed Bouazizi, che si diede fuoco come Ian
Palach; lanciare un messaggio di terrore all’intero mondo musulmano, e
soprattutto ai suoi leader più pavidi.
La Tunisia, con il suo
governo, offre invece l’immagine di una coalizione aperta a tutti, anche
alla collaborazione dei Fratelli musulmani. Tuttavia, come molti
temevano, il Paese continua a pagare il conto della propria diversità
rispetto all’Egitto, alla Libia, alla Siria, dove le «primavere arabe»
sono miseramente fallite.
La decisione della giuria del Nobel di
assegnare la massima onorificenza del 2015, nel nome della pace, al
Quartetto del dialogo tunisino, cioè a quei rappresentanti della società
civile che hanno saputo trasformare la resistenza contro la dittatura
in un’alleanza tra differenti posizioni, è davvero nobile. Perché indica
la volontà di aiutare un Paese fragile e assediato.
L’ambasciata
d’Italia a Tunisi, per iniziativa del ministro degli Esteri Paolo
Gentiloni, ospiterà tra breve un giardino dei Giusti, il primo in un
Paese arabo. Gesto generoso e significativo. Per l’Italia e per Gariwo,
la foresta dei Giusti voluta da Gabriele Nissim, che si sta diffondendo
dappertutto.