Il Sole 12.3.16
L’ascesa e le strategie. La politica degli Usa e degli «alleati»
Le sei mosse per finire la guerra in Siria
di Jeffrey Sachs
La
Siria rappresenta oggi la più grande catastrofe umanitaria al mondo e
un focolaio geopolitico molto pericoloso. La popolazione siriana è
intrappolata in un bagno di sangue, con oltre 400.000 morti e 10 milioni
di profughi.
I violenti gruppi jihadisti appoggiati da mecenati
esterni devastano senza pietà e vessano la popolazione. Tutte le parti
coinvolte nel conflitto – il regime del presidente Bashar al-Assad, le
forze anti-Assad supportate dagli Stati Uniti e da suoi alleati e lo
Stato islamico – hanno commesso, e continuano a commettere, gravi
crimini di guerra. È tempo che si giunga a una soluzione, basata su una
trasparente e realistica considerazione dei fattori che hanno scatenato
la guerra.
Questa è la succinta cronologia dei fatti. Nel febbraio
del 2011 si verificano una serie di proteste pacifiche nelle maggiori
città della Siria, nate sull’onda della “Primavera araba”. Il regime di
Assad reagisce con un mix variabile di repressione violenta (sparando
sui manifestanti) e offerte di riforma. Poi l’escalation di violenza.
Gli opponenti di Assad accusano il regime di aver usato la forza contro i
civili senza limiti, mentre il governo indica la morte di soldati e
poliziotti a riprova delle violente azioni dei dimostranti jihadisti. È
probabile che sin da marzo o aprile 2011 i combattenti e gli eserciti
sunniti anti-regime inizino a entrare in Siria dai Paesi vicini. Secondo
diverse testimonianze, alcuni jihadisti stranieri sarebbero i fautori
di violenti attacchi nei confronti di poliziotti.
Gli Stati Uniti e
i loro alleati nella regione cercano di destituire Assad nella
primavera del 2011, pensando di farlo decadere rapidamente come Hosni
Mubarak in Egitto e Zine El Abidine Ben Ali in Tunisia. Gli Usa
impongono così un giro di vite di sanzioni commerciali e finanziarie sul
regime. Il Brookings Institution, spia della politica ufficiale degli
Usa, invoca l’estradizione di Assad, e la propaganda anti-Assad nei
media Usa registra un picco. (Fino ad allora, Assad viene considerato
dai media americani un capo piuttosto affabile, per quanto autoritario).
La guerra si scatena il 18 agosto 2011, quando il presidente Barack
Obama e Hillary Clinton dichiarano: «Assad deve andarsene». Fino a quel
momento la violenza era ancora contenibile. Il numero dei morti, inclusi
civili e combattenti, si aggirava forse attorno a 2.900 (secondo il
conteggio fatto dagli opponenti al regime).
Dopo agosto, il numero
dei morti sale alle stelle. Talvolta si accusano gli Usa di non aver
agito con fermezza a questo punto. I nemici politici di Obama
generalmente lo attaccano per essersi attivato poco, e non il contrario.
Ma gli Usa di fatto agiscono per rovesciare Assad, anche se perlopiù
segretamente e per mano degli alleati, in particolare Arabia Saudita e
Turchia.
Ovviamente la cronologia della guerra non spiega nulla in
merito. Per questo dobbiamo anche esaminare le motivazioni degli attori
principali. Prima di tutto, quella in Siria è una guerra per procura,
che vede principalmente il coinvolgimento di Stati Uniti, Russia, Arabia
Saudita, Turchia e Iran. Usa e alleati, Arabia Saudita e Turchia, hanno
iniziato la guerra nel 2011 allo scopo di sovvertire il regime di
Assad. L’alleanza degli Stati Uniti si è scontrata con l’escalation
della forza nemica di Russia e Iran, il cui esercito per procura
dell’Hezbollah libanese combatte al fianco del governo di Assad. Gli Usa
intendevano sovvertire il regime di Assad perché dipendeva dai
finanziamenti di Iran e Russia. La destituzione di Assad, così credevano
le autorità per la sicurezza americana, avrebbe indebolito l’Iran,
indebolito l’Hezbollah e ridotto la portata geopolitica della Russia.
Credendo
che Assad sarebbe stato destituito con facilità, gli Usa si sono
affidati alla propaganda del regime, che doveva fare i conti con una
forte opposizione, ma poteva contare anche su un notevole supporto
interno. E cosa più importante, il regime vantava potenti alleati,
soprattutto Iran e Russia. È stato ingenuo pensare che non avrebbe
reagito nessuno. Secondo i tradizionali media americani ed europei,
l’intervento militare della Russia in Siria sarebbe infido ed
espansionistico. La verità, a mio parere, è un’altra. Gli Usa non
possono, in base alla Carta delle Nazioni Unite, organizzare
un’alleanza, finanziare mercenari e contrabbandare armi pesanti per
rovesciare il governo di un altro Paese.
Per mettere fine alla
guerra andrebbero, a mio avviso, osservati sei principi. Il primo: gli
Usa dovrebbero cessare le operazioni sotto copertura e non, tese a
rovesciare il governo siriano. Il secondo: il Consiglio di Sicurezza Onu
dovrebbe implementare il cessate il fuoco attualmente in corso di
negoziazione, chiedendo a tutti i Paesi, inclusi Usa, Russia, Arabia
Saudita, Turchia, Qatar e Iran, di smettere di armare e finanziare le
forze militari in Siria. Il terzo: tutte le attività paramilitari
dovrebbe cessare, comprese quelle dei cosiddetti “moderati” sostenuti
dagli Usa. Il quarto: Usa e Russia – e quindi il Consiglio di Sicurezza
Onu – dovrebbero ritenere il governo siriano gravemente responsabile di
eventuali azioni punitive nei confronti degli opponenti al regime. Il
quinto: la transizione politica deve avvenire gradualmente, instillando
fiducia su tutti i fronti, piuttosto che con una corsa arbitraria e
destabilizzante alle “libere elezioni”. Infine il sesto: gli Stati del
Golfo, la Turchia e l’Iran dovrebbero essere incoraggiati a negoziare
faccia a faccia i termini di un piano regionale che possa garantire una
pace futura. Arabi, turchi e iraniani hanno vissuto insieme per
millenni. Spetta a loro indicare la strada verso l’ordine e la stabilità
della regione.
Traduzione di Simona Polverino