sabato 12 marzo 2016

il manifesto 12.3.16
L’America latina secondo il «socialista» Sanders
Usa. Il dibattito televisivo alle primarie
di Geraldina Colotti

Sta facendo discutere, in America latina, il dibattito televisivo tra Bernie Sanders e Hillary Clinton che si è svolto a Miami nell’ambito delle primarie Usa. Il senatore del Vermont, che aspira alla nomination democratica per la presidenza degli Stati uniti, ha attaccato l’ex segretaria di Stato sulle ingerenze Usa nell’ex «cortile di casa». «Non credo che la nostra funzione – ha detto – sia quella di far cadere piccoli governi nel mondo». Sanders ha fatto riferimento ai «tentativi di invadere Cuba, di far cadere il governo sandinista del Nicaragua e quello del Guatemala», e ha ricordato le implicazioni nordamericane nel golpe cileno. Ha spiegato che, negli anni ’80, si è recato in Nicaragua e che si è opposto agli «sforzi» del governo di Ronald Reagan (1981-1989) per «tombare il governo sandinista», così come si era opposto all’ex segretario di Stato Henry Kissinger per il suo intervento contro il Cile di Allende l’11 settembre del 1973.
Clinton ha ribattuto attaccando la Cuba di Raul e Fidel Castro, definiti «autoritari e dittatoriali», e augurandosi «che un giorno Cuba abbia leader eletti dal popolo». Poi, ha ricordato a Sanders un’intervista del 1985, in cui aveva lodato Cuba per la sua «rivoluzione dei valori». Allora, il «socialista democratico» Sanders (come si definisce) ha cercato di rientrare nei ranghi: «Cuba – ha rettificato – è un paese autoritario e non democratico. Spero che presto lo diventi. Se i valori sono reprimere, far scomparire, mettere in prigione la gente per le sue idee, non sono quelli che vorrei per il mio paese. Ma non sarebbe giusto negare i progressi nella salute e nell’educazione. Cuba invia medici in tutto il mondo».
I «valori» di reprimere e far scomparire non hanno però turbato troppo la ex Segretaria di Stato. Nel suo libro di memorie, Hard Choices, (lanciato anche come siluro politico interno contro Obama), Clinton decanta le posizioni assunte durante il golpe in Honduras contro Manuel Zelaya nel 2009 come grande esempio di pragmatismo. Racconta di aver fatto di tutto per impedire il ritorno del pur moderato Zelaya, colpevole di aver voluto volgersi alle nuove alleanze solidali sud-sud, inaugurate con l’Alba da Cuba e Venezuela: «Nei giorni seguenti – scrive Clinton- ho parlato con le mie controparti nell’emisfero, compreso con la segretaria Espinosa in Messico. Abbiamo elaborato un piano per restaurare l’ordine in Honduras e assicurare che si possano tenere subito elezioni libere e imparziali, che renderebbero irrilevante la questione di Zelaya». Una posizione che, allora, fece cadere ai minimi storici le relazioni statunitensi con molti paesi latinoamericani che pretesero il ripristino di quella «irrilevante» legittimità istituzionale. E che condannarono le violenze e le scomparse di cui fu vittima l’opposizione in uno dei paesi più diseguali e violenti al mondo: dove gli ambientalisti come Berta Caceres continuano a venire uccisi impunemente.
Il golpe in Honduras chiuse la porta alle speranze suscitate dall’elezione di Obama e dalle sue dichiarazioni distensive. Obama ha ricordato adesso in una intervista alla rivista The Atlantic che allora fece bene a non trattare Hugo Chavez, «come un nemico gigante» perché «il Venezuela, anche se non ci piaceva, non era una minaccia per noi». E questo «servì a distendere i rapporti nella regione». Allora, Chavez gli regalò il libro di Galeano Le vene aperte dell’America latina. Oggi, invece, Obama ha deciso di rinnovare per un anno le sanzioni al Venezuela, considerato «una minaccia inusuale e straordinaria» per la sicurezza Usa. E Clinton, di certo, non farà meglio. Caracas ha ritirato l’incaricato d’affari a Washington e, come già l’anno scorso, si stanno svolgendo manifestazioni in tutto il Latinoamerica.
Sanders ha anche auspicato la fine del blocco economico contro Cuba, di cui Obama discuterà durante la sua prossima visita sull’isola, dal 20 al 22 marzo. Al riguardo, il governo dell’Avana ha ribadito i punti «lesivi della sovranità cubana» che restano in sospeso e ha chiesto agli Usa di «abbandonare la pretesa di fabbricare un’opposizione interna, pagata col denaro dei contribuenti statunitensi». Intanto, «sulla base del rispetto, la reciprocità e i mutui benefici», Cuba e Ue hanno firmato ieri «uno storico accordo di cooperazione».