sabato 12 marzo 2016

Corriere 12.3.16
«Dagli Uffizi a Mauthausen contro gli orrori di ieri e di oggi»
Il direttore della Galleria di Firenze nel campo di sterminio per ricordare le vittime del nazismo e la miopia dell’Europa sui profughi
di Paolo Ermini

A Linz, Austria, città di Hitler, un Hitler giovane che ancora coltivava velleità artistiche, martedì prossimo 15 marzo si inaugura la mostra sui legami tra i Medici e gli Asburgo. Un pezzo importante di storia, ricostruita con opere arrivate anche dagli Uffizi. Eike Schmidt, direttore della Galleria da tre mesi e qualche giorno, ci sarà. Non sarebbe potuto mancare: «Poche ore prima, al mattino, però andrò a Mauthausen». Per lui, nato a Friburgo 47 anni fa, sarà una giornata piena di significati, a un incrocio tra passato e presente: «Il nome di Linz evoca una pagina paurosa del Novecento. E Linz chiama Mauthausen, poco lontano, dove persero la vita tanti italiani». Lì la storia tedesca e quella del nostro Paese si toccano nella loro tragicità: «Ci vado da tedesco, a rendere omaggio alla memoria, anche della città dove vivo e lavoro adesso».
Nella scelta c’è qualcosa di più di un gesto personale. L’ombra del nazismo si è allungata fino ai giorni nostri. Sono riapparsi i fili spinati, volti disperati lungo i confini, gli occhi sgranati dei più piccoli. È tornata la paura di veder morire la speranza. Davanti ai profughi la civile Mitteleuropa è tentata dal rifiuto. Dalla voglia di sbarrare le sue porte. Alla guida di uno dei più importanti musei del mondo, Schmidt non ci sta: «C’è un filo che viene da lontano e che tiene insieme gli orrori che accompagnarono la seconda guerra mondiale, le mine tedesche che ferirono Firenze, le stragi mafiose che non hanno risparmiato neppure gli Uffizi, e, ora, le case degli immigrati date alle fiamme in Germania. Quando si bruciano le case vuol dire che si è pronti a uccidere, come fecero i nazisti. E c’è il dovere di dire no, con tutta la forza che si ha. Anche con la forza della nostra arte».
Un filo comune, dunque. Ideale. Ma ce n’è uno fatto anche di pietre e mattoni. È un corridoio, però con la «c» maiuscola: il Corridoio che Vasari costruì in soli otto mesi, nel 1565, per ordine di Cosimo I. E che unisce Palazzo Vecchio, gli Uffizi, Palazzo Pitti e Boboli passando l’Arno, quasi nascosto, sopra le botteghe degli orafi del Ponte Vecchio . Un Corridoio che attraversa la città e, insieme, le stagioni della storia. Il granduca lo volle per potersi spostare liberamente, camminando sopra le teste del popolo, in totale sicurezza.
Ma sarà proprio il Corridoio, nell’agosto del 1944, dopo che tutti gli altri ponti erano stati fatti saltare, a consentire ai partigiani asserragliati nel centro, ancora in mano alle truppe del Reich, di mantenere i contatti con i partigiani dell’Oltrarno già liberato. A qualche metro dagli elmetti tedeschi, ignari. «Scene memorabili fissate per sempre in Paisà di Roberto Rossellini», ricorda Schmidt. E il Corridoio sarà di nuovo protagonista anche nel maggio del 1993, quando fu colpito dalla bomba che Cosa Nostra fece scoppiare all’Accademia dei Georgofili: quadri semidistrutti, terrore a freddo, del tutto imprevisto.
Il Corridoio ora sta al centro dei pensieri di Schmidt: «Se ne parlerà anche a Linz perché fu inaugurato proprio per festeggiare il matrimonio tra Francesco, figlio di Cosimo, e Giovanna d’Austria, una delle Asburgo entrate nella storia della Toscana». Ma il Vasariano rappresenterà, soprattutto, la priorità di Schmidt nei prossimi mesi. Il dado lui l’ha già tratto, d’accordo con il ministro Franceschini e in sintonia anche con Renzi che ne parlava da sindaco: il Corridoio sarà presto aperto a tutti, con le dovute cautele e dopo non pochi aggiustamenti. «Basta con i piccoli gruppi di privilegiati — ha detto e ripete il direttore — questa opera va restituita alla collettività perché ne è un simbolo. Sposteremo la collezione degli autoritratti agli Uffizi, in una collocazione che li valorizzerà ulteriormente, e poi, spero entro l’anno, avvieremo i lavori».
È la vocazione sociale degli Uffizi. Niente Uffizi 2 ad Abu Dhabi, come ha fatto il Louvre. Per ora neppure se ne parla. La Galleria ha scelto un’altra strada. «Nei mesi scorsi — spiega Schmidt — grazie all’impegno di Antonio Natali e con la collaborazione di First Social Life la Galleria ha portato alcuni suoi capolavori a Casal di Principe, nel Casertano, terra di beni e campi sottratti alla camorra. Il titolo è La luce vince l’ombra e non ha bisogno di tante spiegazioni».
Con lo stesso spirito, nei prossimi mesi, e sempre con l’aiuto dell’associazione di Giacinto Palladino e Alessandro De Lisi, gli Uffizi faranno con altri grandi musei dell’area mediterranea una grande mostra a Lampedusa. Una iniziativa di grande impatto, culturale e mediatico. «Cercheremo di dare un’emozione e far pensare, come fa Fuocammare , il film che Francesco Rosi ha girato lì, sul dramma quotidiano degli sbarchi. L’ho visto. Bellissimo. A Berlino lo hanno premiato con l’Orso d’oro. Da tedesco, questa volta, ne sono stato orgoglioso».