il manifesto Alias 12.3.16
Il prestito dell’utero e la prostituzione
Verità
nascoste. Nella gravidanza surrogata il fantasma del concepimento
verginale è ovviamente attivo, ma nelle donne surroganti manca, di
regola, la serialità dell’offerta che confermerebbe il potere
condizionante del fantasma
di Sarantis Thanopulos
L’equiparazione del prestito dell’utero con la prostituzione rischia di dare una lettura semplificata a una questione complessa.
La
prostituzione ha due risvolti diversi, per quanto interconnessi. Il suo
sfruttamento (che crea un plusvalore per lo sfruttatore) la pone sul
piano dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Quest’ultimo è
espressione di uno spostamento delle relazioni di scambio dalla parità
dei soggetti sul piano del desiderio alla loro ineguaglianza sul piano
del bisogno materiale, che le costituisce come rapporti di potere. Più
le relazioni di scambio diventano relazioni di potere, quindi di
sfruttamento, più l’appagamento del desiderio diventa un miraggio e il
piacere tende a essere scarica pura dell’eccitazione, sollievo più che
esperienza di trasformazione sensuale, emotiva e mentale.
Lo
sfruttamento dell’operaio esclude l’impiego diretto del corpo sessuale
che è, invece, l’oggetto da sfruttare nel campo della prostituzione.
Tuttavia, in entrambi i casi l’uso del corpo, della donna come
dell’uomo, è centrato sulla sua componente maschile. La componente
femminile diventa periferica fino ad essere inibita, silenziata nella
prostituzione. Più la componente femminile del corpo – sciogliersi,
coinvolgersi, lasciarsi andare, aprirsi- si marginalizza, più la
componente maschile- concentrarsi, disciplinarsi, coordinarsi,
dirigersi- si irrigidisce, perdendo la sua creatività e la sua forza
espressiva. Diventa lo strumento di un agire meccanico, esecutivo. Lo
sfruttamento della prostituzione illumina la natura profonda dello
sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo: esso trae il massimo
vantaggio dal totale eclissarsi del corpo femminile.
L’altro
risvolto della prostituzione, la sua realizzazione come lavoro autonomo,
senza padroni, mostra la velleità della pretesa di usare liberamente il
proprio corpo in dissociazione dallo scambio di doni nella relazione
amorosa: la donazione reciproca del proprio coinvolgimento e della
propria vulnerabilità da parte degli amanti. Il sesso a pagamento fa del
denaro la protesi inerte con cui si ripara la mutilazione del tessuto
vivo della femminilità, che consente lo scambio di doni. Se lo
sfruttamento della prostituzione spiega il meccanismo dello sfruttamento
del corpo del lavoratore, la prostituzione senza sfruttatori fa capire
che la mercificazione delle relazioni umane trae il suo consenso da una
riparazione disumanizzante, ma percepita come salda, compatta. Questa
riparazione è mediata inconsciamente dal fantasma della “madre
virginale”: il permanere del corpo femminile nel commercio erotico in
superficie, che garantisce la sua inaccessibilità al piacere profondo.
Nella
gravidanza surrogata il fantasma del concepimento verginale è
ovviamente attivo, ma nelle donne surroganti manca, di regola, la
serialità dell’offerta che confermerebbe il potere condizionante del
fantasma. Le motivazioni inconsce soggiacenti al prestito dell’utero
vanno cercate altrove. Nella delegittimazione del desiderio di disporre
pienamente della propria creatività. Nel desiderio di donare ai propri
genitori la genitorialità: offrire loro un altro figlio come riparazione
per il fatto di averli delusi o, nella direzione opposta, dare loro una
seconda opportunità, visto che sono stati deludenti. Il compenso
finanziario, che è anche una forma surrettizia di legittimazione, non
sarebbe sufficiente da sé, in assenza di questo tipo di motivazioni.
Il
prestito dell’utero non è prostituzione, non è vendita di eccitazione:
si trova in bilico tra il mercato dei corpi, che cerca di
appropriarsene, e la donazione.