Repubblica 12.3.16
Il leader avverte: “I conti si fanno al congresso e lì vedremo chi ha i numeri Verdini ? Nel governo D’Alema c’era di tutto”
Renzi contro l’ex premier “Il suo è odio distillato vogliono farmi perdere”
di Tommaso Ciriaco
ROMA.
I puntini del disegno ribaltonista di stampo dalemiano li ha uniti da
tempo: «La verità è sotto gli occhi di tutti - ricorda Matteo Renzi -
vogliono soltanto colpirmi alle elezioni amministrative». Non è tanto
l’ultimo affondo dell’ex premier a stupire, dunque, perché «quello è
solo odio distillato ». È soprattutto la «slealtà» verso il partito. La
posta in palio, ragiona il capo del governo, è lo scalpo del segretario e
il controllo del Nazareno: «Vogliono far perdere il Pd, sperando di
riprenderselo». Provateci pure, è la sfida renziana, ma lasciate fuori
dalla contesa le amministrative: «C’è una sede in cui possono sfidarmi:
il congresso del prossimo anno. E lì vedremo chi ha i numeri. Fino ad
allora niente polemiche, da parte nostra. Testa bassa e lavorare ai
risultati concreti». L’appuntamento, in teoria, è già stato fissato per
l’autunno del 2017. Ma in queste ore cresce il fronte di chi vorrebbe
anticiparlo al prossimo gennaio.
Il blitz di D’Alema è l’ultimo
tassello di un’escalation pianificata dall’avanguardia più bellicosa
della sinistra interna. Agli attacchi diretti contro il premier vanno
sommate le possibili candidature anti-Pd di Massimo Bray a Roma e
Antonio Bassolino a Napoli. Un po’ troppo anche per chi ha costruito la
sua scalata “rottamando” la vecchia classe dirigente: «Io governo -
ripete il premier - mentre loro cosa hanno fatto in questi anni? Verdini
non è nell’esecutivo, mentre nel suo D’Alema fece entrare un po’ di
tutto». Articolerà una risposta più completa già oggi pomeriggio, di
fronte alla scuola di partito per i giovani dem. Ricorderà alcuni dati
macroeconomici (produzione industriale e occupazione) che giudica
positivi. Metterà in fila la battaglia sulla flessibilità, la partita
dell’immigrazione e il delicato risiko internazionale, «mentre loro
aprono l’ennesima polemica contro di me...». E finirà per togliersi
qualche macigno dalle scarpe: «Dicono che non mi occupo del partito, ma
quando andiamo in direzione dicono che quella non vale. Sostengono che
non sono di sinistra, ma all’estero quelli che prima parlavano con
D’Alema - come Clinton e Blair - ora parlano con me».
Il Partito
democratico, a dire il vero, resta un autentico vulcano. I renziani
fanno da scudo al leader, ribattendo colpo su colpo agli argomenti della
sinistra. E anche il presidente Matteo Orfini si prepara a schierare la
contraerea contro D’Alema, in occasione dell’intervento che chiuderà
domenica mattina la scuola di formazione dem. Dietro la polvere, però,
già si intravede un nuovo, possibile scenario: l’anticipo del congresso
al gennaio del 2017, subito dopo il referendum costituzionale. Non è
solo la minoranza a sperarci, a questo punto. La tentazione si fa spazio
anche in settori importanti della maggioranza renziana e dei Giovani
turchi. Impossibile affrontare due micidiali tornanti come le
amministrative e la conta referendaria, sostengono, senza immaginare un
attimo dopo la resa dei conti interna. Anche se l’ultima parola spetterà
naturalmente al segretario.
La guerriglia, intanto, si combatte
centimetro per centimetro. E contano parecchio anche i simboli. Di buon
mattino il premier, accusato di aver fondato un “partito della Nazione”,
volerà a Parigi per il vertice del Pse. Si mostrerà seduto allo stesso
tavolo con Hollande e con il greco Alexis Tsipras, che è ospite d’onore
alla kermesse del socialismo continentale. In ore così convulse, poi, è
utile non trascurare i dettagli. Ieri il portavoce di Renzi, Filippo
Sensi, ha rilanciato su Twitter un’antologia del Center for American
Progress, di impostazione obamiana. La ragione? Ospita scritti di
Clinton, Blair, Trudeau e Renzi. Un messaggio, insomma, che il quartier
generale renziano invia agli oppositori interni. E che suona così: dopo i
big del passato, la scena è tutta per l’ex rottamatore che ha chiuso
con la sinistra dei «conservatorismi». La battaglia, si intuisce, sarà
ancora lunga.