giovedì 10 marzo 2016

Repubblica 10.3.16
Sulla rotta balcanica chiusa dalla Slovenia il muro nasconde l’emergenza
Il governo di Lubiana ha smistato gli arrivi e fissato l’obiettivo di 50 richieste di asilo al mese
La stazione di Dobova è stata liberata. Ma i profughi alla fine saranno rispediti in Grecia
di Matteo Pucciarelli

È nel villaggio greco di Idomeni, confine fra Grecia e Macedonia, che in questi giorni a seguito della chiusura delle frontiere si concentra l’emergenza
Altrove come a Dobova, le strutture allestite per i migranti restano vuote

DOBOVA (SLOVENIA) FEDELI alla propria rinomata efficienza, gli sloveni ci hanno messo un paio di giorni a ripulire tutto: al confine tra il loro paese e la Croazia di migrante non ce n’è rimasto neanche uno. Alla stazione di Dobova, dove fino a una settimana fa partivano i convogli diretti al confine austriaco pieni di siriani, afgani e iracheni, ci sono solo una ventina di agenti di polizia. Controllano ogni treno, casomai ne fosse sfuggito qualcuno.
Dove sono andate a finire le centinaia di rifugiati arrivati quasi al termine della rotta balcanica? Alla frontiera un ufficiale esce dal gabbiotto e spiega che «una parte sono stati rimandati in Croazia, un’altra al centro al confine con l’Austria, altri ancora a Lubiana, dove potranno chiedere asilo politico, se lo vorranno». I più sfortunati sono i primi: verranno a loro volta rimandati in Grecia dai croati, come un gioco dell’oca.
Il centro profughi di Brežice è diversissimo da quello anarchico di Idomeni, al confine tra Grecia e Macedonia, aperto a chiunque in entrata (e non in uscita, ovviamente): tre tendoni bianchi ordinati, bagni chimici in fila, un camper dell’Unhcr, recinzioni verde altissime e a prova di sfondamento, due camionette di militari all’ingresso con i fucili in mano. Le bandiere delle associazioni umanitarie come Karitas e Croce Rossa continuano a sventolare in solitaria. Dentro uno stanzone si intravedono ancora le coperte piegate e una sopra l’altra; i vestiti donati e finora messi a disposizione dei migranti sono stati lavati e ordinatamente riposti in degli scaffali. Ma per il resto il centro è vuoto, ci sono solo gli “addetti ai lavori” che finiscono di risistemare. «Due giorni fa il centro era pieno. Ora il presidio rimane in caso di emergenza — dice un militare — ma per adesso abbiamo finito».
Delle nuove procedure di ingresso nel paese annunciate dal premier Miro Cerar, con il ritorno delle regole di Schengen, non se n’è accorto nessuno: ufficiosamente erano già in vigore da almeno dieci giorni, in coordinamento con le polizie degli altri paesi balcanici. Così oggi le guardie consentono solo l’ingresso di stranieri in possesso di documenti validi per accedere all’area Schengen appunto, a chi richiede asilo politico e a chi necessita di assistenza umanitaria.
Nella piazzetta principale del paese che fino a pochi giorni fa ospitava i migranti, senza che creassero particolari problemi segregati com’erano, c’è un banchetto della “Združena levica”, il partito della sinistra radicale che sta scippando la leadership dell’opposizione ai socialdemocratici. Tre militanti distribuiscono volantini ai pochi e distratti passanti; alla richiesta di informazioni sul centro che si è magicamente volatilizzato si illuminano. «Quello che ha fatto il nostro governo è gravissimo », si infervora Boris Surina, ha 52 anni. Cita l’ultimo report sul “Monitoraggio delle politiche sui rifugiati, delle informazioni fornite e della lotta contro la xenofobia” del Centro per la Pace che ha sede nella capitale slovena. Dove si racconta come finora richiedere asilo politico qui sia stato un percorso a ostacoli corredato di trabocchetti, neanche si fosse stati a un colloquio di lavoro. Ad esempio, se alla domanda dell’agente «cosa pensi di fare laggiù?», rivolta al singolo migrante appena arrivato e che sognava la Germania, lui rispondeva «ho dei parenti» oppure «voglio continuare gli studi », il pass veniva negato. Motivazione? La risposta giusta sarebbe dovuta essere «vado in Germania perché sto scappando dalla guerra».
Comunque sia, la Slovenia in queste ore ha fissato l’impegno massimo per il futuro: 50 richieste di asilo, come previsto dalla ripartizione europea. Al giorno? Al mese. A febbraio Lubiana ha ricevuto 90 domande di protezione internazionale: segno che l’obiettivo di chi aveva superato il confine croato era quello di continuare il viaggio verso mete più ambite. Ricordi del passato, ormai; la rotta balcanica non esiste più, cancellata dai muri, dalla burocrazia e dallo scaricabarile tra Stati confinanti.
Adesso la prossima “vittima sacrificale” dell’esodo ha già un nome: Albania. La cui frontiera sud orientale potrebbe diventare il nuovo passaggio obbligato dei migranti per risalire la fortezza Europa.