Corriere 10.3.16
Chiuso il confine in Macedonia. La protesta dei migranti: «Libertà»
Che cosa accade con gli sbarchi da noi, ora che torna la bella stagione? I centri non sono pronti
Dopo lo stop di Slovenia e Croazia, bloccata ufficialmente a sud la rotta balcanica. I nuovi timori dell’Italia
di Francesco Battistini
IDOMENI
(confine Macedonia-Grecia) Si chiudono le nubi e le frontiere. Alt, non
si passa più. Ci sono voluti 202 giorni per tenere aperta la via dei
Balcani, bastano 12 ore a sbarrarla: tra mezzanotte e mezzogiorno,
quattro Paesi decidono che va bene così. Dicono Slovenia, Serbia,
Croazia e Macedonia che l’intesa con la Turchia si può applicare da
subito e poco importa se un vero accordo non è stato firmato, se l’Onu e
molte ong ne denunciano l’inutilità, se macedoni e serbi non sono
nemmeno nell’Ue. Skopje è stata l’ultima: il governo promette d’agire
«secondo le decisioni prese dagli altri Paesi della rotta balcanica»,
ovvero chiudendo. Già si vede: a Idomeni non smette di piovere e il
barometro dell’accoglienza si mette al brutto quando arrivano altri
poliziotti. Qualche attivista fischia, «freedom!». I 15 mila migranti
sono esausti, sanno d’essere ormai in trappola. «Come farete a
sgomberarci?», alza un dito un pakistano del Belucistan: «Volete
ammazzarci? Non avevo paura dei talebani, non ho paura di restare!».
Non
se ne vogliono andare. Il governo greco dice che i gommoni dalla
Turchia stanno diminuendo, da duemila a 700 al giorno: è possibile che i
trafficanti d’uomini abbiano già pronte vie alternative, l’Albania o
l’Ucraina. L’Ungheria progetta un altro muro verso la Romania. La
Bielorussia muove le truppe. Anche l’Italia si preoccupa e Renzi parla
con Alfano in vista del Consiglio europeo, la settimana prossima: che
cosa accade con gli sbarchi da noi, ora che torna la bella stagione? I
centri di permanenza non sono pronti a reggere. Finora s’ovviava
evitando d’identificare i migranti, per lasciarli proseguire in Europa,
ma ora non si può più e il rischio è che rimangano in Italia per anni,
non più per mesi.
Ci si deve preparare. Stretta la mano a Erdogan,
il governo Tsipras avverte chi bivacca a Idomeni: dovete spostarvi in
campi attrezzati, poi si vedrà chi va in Turchia e chi no. Oggi tocca ai
Balcani, domani forse all’Italia: torna il problema del Sud Europa, di
chi arriva e non può più andare a Nord. E dei mille senza cibo e senza
tende in Macedonia. E dei 400 bloccati in quella terra di nessuno che
porta alla Serbia. E soprattutto dei 40 mila sparsi in tutta la Grecia.
Nel fango d’Idomeni ci sono 40 donne incinte, il 40 per cento sono
bambini: ogni giorno in 60 finiscono dai medici. Malati, intossicati
dalla plastica bruciata per scaldarsi, malnutriti. L’altra mattina, han
portato all’ospedale di Kilkis una neonata di tre mesi che pesava 3
chili. Nel pomeriggio un profugo si butta su un treno merci che, lento,
passa lungo il confine. Spera d’entrare in Macedonia. I poliziotti
ridono, lo fanno saltar giù: ma dove va, da quella parte c’è Atene. Che
sarebbe in Europa e non lo è più.