Repubblica 10.3.16
Il delitto senza movente
risponde Corrado Augias
GENTILE
Augias, l’orribile vicenda del ragazzo torturato a morte per vedere gli
effetti, è argomento che può essere “dato in pasto” agli addetti alla
psicologia delle persone, alla ragione sociale di queste e alla perduta
ragione che li ha condotti a quel comportamento. Ecco il punto. Quanto
accaduto è stato meditato prima o dopo l’assunzione di droga e alcool?
Se il “progetto” risale a prima del festino, esso va ricondotto alla
psicologia e al vissuto degli autori. Se invece è stato concepito dopo,
allora va ricondotto alle sostanze assunte. Fa rabbia dirlo, perché le
conseguenze giudiziarie per gli autori saranno diverse nei due casi e il
pensiero corre subito a chi rimane fra noi a soffrire per tali
atrocità. Non si può neppure osare di porsi nell’animo di chi amasse
quel ragazzo, non si può fare né immaginare se non si è coinvolti, ma è
evidente che si tratta di una di quelle situazioni che provocano senso
di impotenza; da un lato si vorrebbe giustizia adeguata, dall’altro si
sa bene che in casi come questo nel concetto di “adeguatezza” c’è il
rischio di farci uguali agli assassini. Giustizia è spesso uno scotto da
pagare alla civiltà.
Giovanni Moschini
GIUSTIZIA
vuole che le alterate capacità mentali siano un’attenuante del crimine.
Il caso si pose nel gennaio 2014 quando un immigrato di colore, a
Milano, uccise a picconate dei passanti ossessionato da certi suoi
fantasmi mentali. L’illustre penalista avvocato Stefano Bortone, da me
interpellato, scrisse allora che la stessa Corte costituzionale aveva
dettato che «la situazione dell’infermo di mente che abbia commesso un
reato, ma che non sia penalmente responsabile in forza della sua
infermità, è per molti aspetti assimilabile a quella di una persona
bisognosa di specifica protezione come il minore ». Giusto quindi il
dubbio comunque doloroso sollevato dal signor Moschini. Meno dubbia
l’inopportunità di gettare il caso in pasto al pubblico televisivo a
poche ore di distanza dal fatto sulla base di informazioni o
approssimative o di parte. Mi scrive la signora Donatella Civita
(docivita@libero.it) «Ricordo d’aver letto sul vostro giornale che i
dirigenti Rai si erano espressi a sfavore di tale tipo di trasmissioni;
mi chiedo come abbiano potuto permettere prolungate e inopportune
interviste nell’immediatezza dell’evento delittuoso». Non c’è ricerca di
audience che giustifichi un gesto così inopportuno. Il delitto gratuito
( Acte gratuit) non è una novità. Nel 1914 lo scrittore André Gide lo
aveva descritto nel suo romanzo “I sotterranei del Vaticano” dove il
tema, di derivazione dostoevskiana, viene sviluppato e messo in pratica
dal protagonista del racconto, Lafcadio. Uno dei personaggi del romanzo,
uno scrittore, ne detta il principio: «Non voglio moventi per il
delitto; mi basta motivare il criminale. Desidero portarlo a commettere
un delitto gratuito; portarlo a desiderare di commettere un delitto
assolutamente immotivato». Sembravano solo le fantasie di un esponente
del decadentismo europeo, diviso tra esaltazione religiosa e una libertà
lontana da ogni vincolo morale. Era giusto un secolo fa (1914).