Repubblica 10.3.16
Giudici, avvocati e professori un giro da 50 miliardi “È la nuova tangentopoli”
Da
Nord a Sud sono già diverse le inchieste sui contenziosi in materia di
tasse. Quelle che, secondo Di Pietro, fermarono Mani pulite
di Sandro De Riccardis
MILANO.
Esplode da nord a sud. Porta in carcere giudici, avvocati,
commercialisti, professori universitari, imprenditori. Svela il
commercio sotterraneo di sentenze che in materia di tasse possono
spostare, con una sola firma, milioni di euro dal privato allo Stato. O,
più spesso, il contrario.
È la Tangentopoli fiscale che da Milano
a Catania, passando per Roma, attraversa il Paese. E che riguarda uno
dei settori della giustizia – i contenziosi tributari – finora quasi
inscalfibile a ogni inchiesta della magistratura e a ogni riforma della
politica. Strutturato su due livelli di commissioni, provinciali per il
primo grado e regionali per il secondo, la giustizia tributaria è un
sistema di potere solidissimo. Una cerchia chiusa di magistrati, in
maggioranza privati, onorari, chiamati nel 2015 a decidere su oltre
581mila contenziosi, per un valore globale di 50 miliardi di euro. Un
tesoro affidato alle decisioni di avvocati, commercialisti, geometri,
ragionieri, persino ad agronomi e professori di liceo. Un sistema sul
quale indagò anche Antonio Di Pietro, che dopo le inchieste sulla
corruzione nei partiti, delle mazzette in valigia o fatte sparire nel
water, si convinse di essere stato fermato proprio quando iniziò a
scavare nel mondo delle sentenze tributarie. E oggi un nuovo grappolo di
inchieste sta ripartendo da lì: solo a Milano si indaga su venti cause
fiscali.
LA MAZZETTA NELLA GIACCA
Come il primo arresto di
Mani pulite nel 1992, con Mario Chiesa fermato con una mazzetta di sette
milioni di lire tra le mani, lo scorso 17 dicembre i militari della
Guardia di Finanza, travestiti da avvocati, arrestano nello studio Crowe
Horwarth, il giudice della commissione tributaria provinciale di
Milano, Luigi Vassallo, con una busta da cinquemila euro infilata nella
giacca. Vassallo, avvocato cassazionista e docente universitario a
Pavia, che risulta (dal marzo 2015) ancora consulente “in materia di
conflitto di interessi per il governo”, ha appena incassato la prima
rata di una tangente da 30mila euro per intervenire su una
esterovestizione da svariati milioni contestata alla multinazionale
della chimica Dow Europe Gmbh .
Non è un episodio isolato. Perché i
pm di Milano Eugenio Fusco e Laura Pedio, un mese dopo, ottengono
l’arresto di un altro giudice onorario, l’avvocato Marina Seregni. I due
giudici sono accusati di corruzione in atti giudiziari per il caso
della Dow Europe Gmbh, ma anche di aver pilotato un contenzioso da 14,5
milioni a favore della società Swe-Co, dell’imprenditore Luciano
Ballarin (indagato) in cambio di 65mila euro. Il gip Manuela Cannavale
cita esplicitamente la «spregiudicatezza con cui si muoveva Vassallo,
che sapeva di poter fare affidamento su Seregni e verosimilmente anche
su altri giudici tributari e funzionari dell’Agenzia delle Entrare, per
pilotare ricorsi, influenzare i giudizi dei collegi, sostituirsi nella
redazione delle sentenze, a fronte della corresponsione di dazioni
illecite da ripartire con i complici». E infatti nell’inchiesta è
indagato anche un giudice togato, Francesco Pinto, ex presidente del
tribunale di Imperia, ex giudice a Monza, ora presidente della sezione
18 della Commissione tributaria provinciale di Milano.
Lo schema
non è diverso da quello scoperto a Catania dal procuratore Michelangelo
Patané e dal pm Tiziana Laudani. Finisce in carcere - insieme a due
imprenditori, un commercialista e un cancelliere - il presidente di
sezione della Commissione tributaria provinciale di Catania, il giudice
Filippo Impallomeni. Il magistrato avrebbe usato per anni le auto della
concessionaria di Giuseppe Virlinzi, fratello di uno dei più grossi
immobiliaristi della città, in cambio di decisioni favorevoli, per un
risparmio sulle tasse di 800mila euro. Per i pm, Impallomeni, da
presidente, da relatore o da estensore era sempre presente nelle
decisioni su Virlinzi.
I CONFLITTI DI INTERESSE
Gli
investigatori non pensano che si tratti di casi isolati, ma che almeno
in Lombardia si possa ipotizzare un sistema. Qualcosa che riporta alla
mente vecchie inchieste, come la celebre P3 che nasceva proprio da
oscuri personaggi che si vantavano di pilotare grandi processi
tributari. «Emerge – dice oggi un investigatore - una rete di relazioni
che sopravvive a ogni forma di incompatibilità ». Se per legge non può
svolgere l’attività di giudice chi esercita attività di consulenza
tributaria per «contribuenti, società di riscossione o altri enti
impositori », è vero che il conflitto d’interessi è all’ordine del
giorno. «Era noto che Vassallo fosse in grado di risolvere i problemi: i
commercialisti e gli avvocati che venivano in studio sapevano che era
in grado di sistemare i processi », mette a verbale la sua segretaria,
svelando come oltre le incompatibilità formali bisogna fare i conti con
un contesto di fortissima contiguità tra professionisti. Con commissari
che sono amici, colleghi, a volte soci dei legali delle aziende
coinvolte nelle liti. Storture che portano fino al 60% le decisioni che
danno ragione al privato e torto allo Stato. E «che azzerano - riflette
un magistrato – anni di lavoro di Guardia di Finanza e Agenzia delle
Entrate».
IL SISTEMA
A Milano come a Catania, le inchieste
sono destinate ad allargarsi. In altre procure, oltre a quella di Roma,
sono agli inizi. Quella del capoluogo lombardo fa da apripista. Non solo
perché i giudici arrestati avevano grande disponibilità di denaro
(Vassallo era titolare di due cassette di sicurezza, e di contanti per
267mila, Seregni di altre due cassette che ha movimentato prima
dell’arresto). Ma soprattutto per le buste piene di altre banconote,
trovate coi nomi dei «soggetti erogatori» del denaro: manager, aziende,
membri di commissione, funzionari dell’Agenzia delle Entrate. E un
elenco di venti contenziosi ora sotto indagine.