Repubblica 10.3.16
il responsabile della ong che si batte per i diritti civili:
“I magistrati egiziani succubi della polizia”
Nella capitale ogni giorno spariscono tre persone.
Al momento ne mancano all’appello più di cento
di Carlo Bonini Giuliano Foschini
IL
CAIRO. Seduto nella quiete di un piccolo bar a Garden City, il
quartiere delle ambasciate, Mohammed Lotfy parla dell’omicidio Regeni
con la chiarezza e il coraggio di chi per mestiere e impegno civile
tratta sparizioni, arresti illegali, torture. Fa parte della “Egyptian
commission for rights and freedoms”, organizzazione non governativa che
sta aiutando i legali della famiglia di Giulio nell’immane lavoro di
ricerca della verità. Dice Mohammed: «Credo sinceramente che per capire
quanto è accaduto a Giulio, e quanto accaduto in queste cinque settimane
di indagine al Cairo, sia necessario tener presente due verità. Una
riguarda il rapporto di sudditanza tra le procure e gli organi della
polizia e della sicurezza nazionale. Un’altra i numeri delle persone
illegalmente scomparse tra l’agosto del 2015 e oggi».
Ascoltando
Lotfy la prognosi dell’inchiesta egiziana su Regeni è fosca. «I pubblici
ministeri in Egitto fanno lavoro di scrivania. Dipendono esclusivamente
nella raccolta delle prove dagli organi di polizia e dagli apparati di
sicurezza. Ora, poiché stiamo parlando di un caso in cui la polizia per
cercare la verità dovrebbe indagare su se stessa, pensare che il
pubblico ministero possa avere un ruolo decisivo è utopia». Mohammed
dice qualcosa di più. E, se possibile, di peggio: «I pm del Cairo, e in
particolare la procura di Giza, hanno pessimi precedenti da questo punto
di vista. Sono non solo normalmente riluttanti a incriminare
appartenenti alle forze di polizia o di apparati della sicurezza. Ma la
prassi vuole che ne siano complici in tutti i casi in cui è necessario
coprire e dare legittimità legale a casi di sparizione». Le cose, qui al
Cairo, vanno così: «La polizia sequestra qualcuno, lo interroga o lo
tortura per giorni e poi, se l’arrestato si dimostra “collaborativo”, lo
porta di fronte a un pubblico ministero. A quel punto il magistrato
certifica formalmente l’arresto ma con una data che risale alle 24 ore
precedenti. In questo modo il fermo viene “sanato” ma soprattutto tutto
ciò che è accaduto prima non è mai esistito. Infatti, tutti i casi di
sparizione che noi siamo in grado di dimostrare sono quelli in cui
testimoni oculari hanno assistito al sequestro».
La seconda
verità, nel caso Regeni, è quella data dalla forza dei numeri. Ancora
Mohammed: «Tra il primo agosto e il 30 novembre del 2015 solo la nostra
organizzazione ha censito 340 casi di sparizione. A marzo del 2016 più
di 100 di quelli scomparsi risultano ancora tali. Al Cairo la media di
sequestri illegali è di tre casi al giorno». Uno di questi doveva essere
il nove gennaio di quest’anno Ahmad Abdallah, chairman del board
dell’Egyptian commission. Agenti dei servizi si presentarono per
sequestrarlo nel caffè che frequentava ad Al Agouza, nel quartiere di
Giza. Lui si salvò, come l’organizzazione ha poi denunciato
pubblicamente, perché arrivò in ritardo.