Repubblica 10.3.16
Il partito sdoppiato tra Nord e Sud che si delegittima con le sue mani
La frattura non è sanabile con il dibattito interno. Arbitri saranno gli elettori
Il Pd renziano dovrà puntellarsi con liste civiche per coprirsi a sinistra
di Stefano Folli
Se
il pasticcio delle primarie del Pd a Napoli e a Roma si riduce al
solito litigio fra renziani e minoranza interna, è facile prevedere una
rapida caduta dell’interesse generale. Se invece il caso diventa la
fotografia di una trasformazione in atto nel Pd, per cui le vecchie
identità si dissolvono e i “gazebo” sono l’emblema del tentativo mal
riuscito di selezionare la nuova classe dirigente, allora aspettiamoci
altre sorprese.
Certo, colpisce che il ricorso di Bassolino sia
stato rigettato in tutta fretta nonostante l’evidenza di certi passaggi
di denaro per pagare i voti. A Roma invece la questione delle schede
bianche usate per accrescere le percentuali dell’affluenza viene
derubricata a episodio minore e forse lo è. Ma i due incidenti legati
insieme rappresentano un curioso fenomeno di auto-delegittimazione in un
partito che invece cercava una forma di consacrazione popolare per i
suoi candidati. Il risultato è paradossale. Il “partito di Renzi” vuole
nascere attraverso le primarie, ma l’obiettivo finora si è realizzato
solo a Milano, almeno fra le grandi città (e nonostante la polemica,
peraltro gonfiata, sui voti dei cinesi a Sala). Del resto, le primarie
hanno bisogno per essere credibili dell’apporto dell’opinione pubblica.
Proprio quello che è mancato sia a Roma sia a Napoli.
In Campania
poi si assiste al riprodursi dei vizi che avevano imposto anni fa
l’abolizione del voto di preferenza. È come se nelle primarie non esenti
da gravi irregolarità fossero tornate di prepotenza proprio le
preferenze, in forme diverse dal passato ma altrettanto inquinanti. Il
risultato è che sul piedistallo del vecchio Pd ormai in declino stanno
nascendo in realtà due “partiti del premier”: uno al Nord e uno al Sud
(Roma è storia a parte). Quello settentrionale (cioè Milano, ma anche
Firenze quando si è votato) comincia a esprimere una classe dirigente
che si rivela anche nelle primarie e in un rapporto positivo con
l’opinione pubblica, al di là delle angustie partitiche. Quello
meridionale è invece ancora prigioniero delle vecchie logiche e dei
colpi bassi che ne derivano.
Non sembra che il Pd sia in grado di
risolvere questa frattura attraverso la resa dei conti nei cosiddetti
“organismi centrali”, come si faceva una volta e come vorrebbe la
minoranza. Ogni territorio ormai fa storia a sé e la stagione di Renzi
si modella un po’ a pelle di leopardo, in attesa che ai primi di giugno
gli elettori dicano la loro. Saranno i veri giudici anche degli episodi
oscuri di questi giorni. Quel che sembra sicuro è che le primarie, pur
deludenti, hanno l’effetto di accentuare il passaggio dai vecchi ai
nuovi assetti. Con due conseguenze. Da un lato, resiste la tentazione di
contrapporre ai candidati “renziani” altri nomi espressione di una
sinistra interna o esterna al Pd che non si arrende al partito del
premier. Dall’altro, il nuovo Pd (o come si vuole chiamarlo) che tenta
di farsi strada senza riuscirci del tutto avrà bisogno di puntellarsi
nelle principali città con le liste civiche di sostegno. Vale a dire
formazioni nate per le amministrative e funzionali alla realtà politica
in evoluzione. Ciò significa che un risultato queste primarie
pasticciate lo stanno ottenendo: disgregare e riaggregare il
centrosinistra su basi inedite.
Qualcosa di simile accade anche a
destra. Le non-primarie di Berlusconi a Roma, sostituite da un bizzarro
referendum pro-Bertolaso, hanno prodotto il distacco esplicito di
Salvini e la candidatura autonoma di Storace, oltre alla polemica
innescata dal centrista Marchini. Quale sarà l’esito finale dello
scollamento, non è ancora chiaro. Ma è evidente che nella Capitale si
assiste a un’altra tappa del tramonto di Berlusconi come leader
riconosciuto del centrodestra. È bastato evocare le primarie - senza
farle - per innescare effetti esplosivi. Se si arriverà a fissare in
Parlamento le regole, valide per ogni partito, di queste consultazioni
preliminari, gli scossoni non mancheranno in ogni settore politico.