sabato 19 marzo 2016

Repoubblica 19.3.16
Cuba Usa
Nelle strade in festa dell’Avana aspettando Obama il “Santo”Domani arriva il presidente Usa, per la storica visita che segue il disgelo. Sull’isola già lo venerano perché il regime ha dovuto ristrutturare vie e palazzi. Così, tra alberghi pieni e affari, il paese spera che si apra una nuova era
di Omero Ciai

L’AVANA DALLA terrazza dell’hotel Saratoga si domina, a perdita d’occhio, tutta la capitale di Cuba. Fra la spuma bianca di una “piña colada” e il profumo della hierbabuena di un “mojito”, avvocati e consulenti finanziari americani, si riposano sulle sdraio di tela chiara osservando lo spettacolo del Sole che tramonta dietro la cupola bianca del Capitolio. Confusi tra qualche ricco pensionato canadese in gita primaverile e quattro giovanotti newyorchesi in vacanza, sono loro i nuovi procacciatori d’affari sbarcati sull’isola proibita per avviare la nuova era delle relazioni fra Washington e l’Avana che il presidente Barack Obama s’appresta a sigillare con la storica visita che inizierà domani. Affari, per ora, pochi, cocktail caraibici numerosi. Ma da quando vi hanno alloggiato il segretario di Stato John Kerry, Paris Hilton e Beyoncé, questo vecchio e fastoso albergo, completamente ristrutturato dieci anni fa, è diventato uno dei luoghi preferiti dagli americani. Stanze da 400 dollari minimo e proprietà Habaguanex, una delle aziende turistiche del governo cubano, ai margini dello spettacolare centro coloniale dell’Havana Vieja. Lo stesso che assaltano come stormi d’uccelli curiosi centinaia di turisti che in questi giorni si spintonano fra le pietre della piazza della Cattedrale e la struggente bellezza dei portici della Plaza Vieja. L’Avana è di moda.
È al centro del mondo con i suoi alberghi che da mesi non hanno più una stanza disponibile e i nuovi visitatori costretti a saggiare gli standard delle “casas particulares”, i bed and breakfast privati, che sorgono ovunque per soddisfare le richieste di alloggio. E la città si offre ai suoi nuovi amanti con i suoi storici gioielli da Luna Park. La “Bodeguita del Medio”, dove s’ubriacava Hemingway; il Floridita, altro bar dello scrittore; “l’Ambos Mundo”, il suo primo albergo che conserva religiosamente una stanza dove visse. E i ritratti di Che Guevara, le magliette, gli adesivi, le cartoline postali, le borse. Il guerrigliero eroico in ogni dove. E i sigari. E il rum. E il Museo della rivoluzione.
Il nuclueo antico dell’Avana splende di lavori in corso e attende nuovi padroni per riconquistare colori. Sugli edifici sbrecciati e polverosi tanti cartelli bianchi e rossi scritti a mano: “Se vende” (in vendita). Ma la procedura resta complessa: gli stranieri non possono investire negli immobili, l’eventuale compravendita è privilegio dei cubani. Così chi investe non appare, si fida di un prestanome locale. L’affare adesso sono i piccoli alberghi, molto trendy per clienti ricchi ed esclusivi. Un impreditore italiano che vive qui da anni ci porta in una stradina chiusa dietro la cattedrale e ci mostra quello che sta succedendo. In fondo alla via c’è Doña Eutimia, un ristorante privato specializzato in cucina criolla che già da tempo s’è conquistato un posto sulle guide turistiche. Sei mesi fa non c’era altro. Oggi ci sono altri cinque ristoranti che fanno concorrenza al più famoso, con tanto di buttadentro. L’esplosione del turismo e le timide aperture all’iniziativa privata stanno cambiando il paesaggio cittadino. Promuovendo quel che sperava Obama quando ha accettato la riconciliazione senza chiedere nulla in cambio al regime castrista. La nascita di quella classe media che, dopo quasi sessant’anni d’uniformità socialista, prima o poi reclamerà diritti.
Perfino gli “almendrones” (i “mandorloni”) sembrano risorti. Si chiamano popolarmente così a Cuba le vecchie macchine ancora in vita di prima della rivoluzione, Buick e Chevrolet. Rimetterli su strada per la gioia dei turisti è un altro degli affari di questi mesi. I dollari per l’operazione arrivano dai parenti di Miami, quelli della diaspora cubana dall’altra parte dello Stretto della Florida. È il flusso delle rimesse che aumenta e i cubano americani che iniziano a investire timidamente sui piccoli commerci dei loro familiari sull’isola, scommettendo sul cambiamento. La settimana che si apre con l’arrivo di Obama, si chiuderà con il primo concerto, gratuito, dei Rolling Stones. Ma non tutti guardano senza timori alla pace con gli Stati Uniti. Per esempio, Rey. Un ragazzo che ricorda come a scuola gli abbiano spiegato che l’ultimo americano visto a Cuba prima di Barack e Michelle Obama si chiamava Meyer Lansky, era un luogotenente di Lucky Luciano, e insieme a Batista voleva trasformare Cuba nel resort della mafia. Mambo, prostitute e casinò. Marta invece è piena di speranze. In fila da Coppelia, la gelateria voluta da Fidel Castro nei giardini del Vedado, dove la incontriamo, ricorda i suoi anni da “Gloria dello sport”. Era ginnasta e grazie al suo talento ha avuto una vita agevolata. Nessun doganiere, racconta, si permetteva di ficcare il naso nelle valige di uno sportivo quando andava a gareggiare all’estero. Così lei le riempiva di sigari e rum che rivendeva e tornava a casa con leccornie occidentali per tutta la famiglia. Oggi, a 62 anni, pulisce le stanze di una “casa particular” e il suo fragile benessere dipende dal turismo. Alla vigilia dell’evento - Obama è il primo presidente degli Stati Uniti che visita l’Avana dopo quasi un secolo - i cubani si divertono a scoprire dove andrà seguendo gli operai che riasfaltano le strade e riverniciano i palazzi. Il percorso, rimesso a nuovo, l’hanno già battezzato “via Obama”. E lui, il presidente a stelle e strisce, è diventato “Santo Obama” perché il suo arrivo ha fatto scomparire le buche nelle strade.
Subito dopo c’è un altro appuntamento che potrebbe avere conseguenze sul futuro di Cuba. Il 15 aprile si apre il VII Congresso del Pcc, il partito comunista cubano. E sarà anche l’ultima assise con Raúl Castro al potere. Il fratello minore di Fidel, che compirà 85 anni a giugno, ha promesso che si ritirerà nel febbraio del 2018. Le manovre per la successione inizieranno al Congresso dove si dovrà decidere anche in che forme avverrà. L’attuale vicepresidente, per la prima volta, non è un Castro. Si chiama Miguel Diaz-Canel, 55 anni, designato da Raúl nel 2013. Ma i due veri “uomini forti” della leadership di regime sono suoi parenti. Il generale Luis Alberto Rodriguez Lopez-Callejas è suo genero e controlla Gaesa, l’holding delle Forze Armate. Alejandro Castro Espin è suo figlio, e guida l’intelligence. C’è chi spera che la successione a Raúl possa avvenire attraverso una consultazione più larga che coinvolga in qualche modo anche i cittadini e non solo i 14 membri - otto sono militari - del Burò politico del partito. Ma, per ora, sembrano illusioni, visto che il governo cubano ripete che non ha concessioni da fare alla pax americana né sul piano dei diritti civili, né su quello dei diritti umani. Chi non ci sta, oggi emigra più facilmente. Qualcuno, ed è un fenomeno nuovo, perfino torna nella speranza che le aperture vadano lentamente consolidandosi con una nuova politica economica. Ma i più smaliziati fanno notare che, fatte le debite proporzioni, a Cuba stanno nascendo dei mini oligarchi come nei mesi burrascosi della fine dell’Urss. La maggior parte degli affari del turismo sono in mano alle aziende di Stato e per aprire un bar o un ristorante in una zona privilegiata bisogna essere molto vicini alla nomenclatura.