Repubblica 1.3.16
Il dilemma delle destre
di Marc Lazar
PRIMA,
in Europa, la situazione in campo politico era chiara. La sinistra,
ormai da decenni, perdeva elettori, iscritti, influenza culturale, ed
era profondamente divisa su quasi tutti gli argomenti. Era in preda a un
declino, definito talvolta come irresistibile. I suoi avversari se ne
rallegravano, i suoi sostenitori lo deploravano, gli studiosi ne
facevano uno dei loro campi di studio prediletti. La destra, al
contrario, sembrava sprizzare salute: alcuni saggisti affermavano che la
sua vittoria era ormai ineluttabile e le pronosticavano un radioso
avvenire, visto e considerato che le nostre società sono dominate
dall’ideologia liberista, popolate da esseri profondamente
individualisti, narcisisti, consumisti e sempre più vecchi e dunque
conservatori inveterati.
Ora sta esplodendo un fatto nuovo: anche
la destra si sta frantumando e indebolendo. L’Italia ne offre un
eccellente esempio, con i conflitti tra Forza Italia, Lega Nord, Destra e
Fratelli d’Italia. In Germania, la Cdu-Csu sta affrontando una grande
crisi sulla questione dei migranti e sotto la pressione dei successi
elettorali dell’Afd (Alternativa per la Germania), che ha registrato
un’avanzata clamorosa nelle ultime tre elezioni regionali. Il Partito
popolare spagnolo alle elezioni dello scorso dicembre ha perso più di 3
milioni e 600mila elettori, in gran parte confluiti nell’astensione o
passati a Ciudadanos, ed è scosso da scandali di corruzione e
finanziamento illecito. Il Partito conservatore britannico sta andando
in pezzi sulla questione del referendum per la permanenza nell’Unione
Europea previsto per giugno. In Francia, la destra si sta spaccando in
vista delle primarie del prossimo autunno, che designeranno il candidato
alle presidenziali del 2017.
A sconquassare la destra è la crisi
economica, ma soprattutto l’evoluzione dell’Unione Europea, gli effetti
della globalizzazione e la gestione dei migranti. E oltre a queste ci
sono altre due grandi sfide. La prima nasce dei successi dei nuovi
partiti contestatari e populisti, che sono diversissimi tra un Paese e
l’altro, ma fanno tutti appello al popolo, si presentano come nuovi (e a
volte lo sono davvero) e criticano la collusione dei partiti
tradizionali che cercano di bloccare la competizione politica per
impedire ad altre formazioni di accedere al potere e beneficiare delle
sue risorse, simboliche e materiali. L’Afd in Germania, l’Ukip in Gran
Bretagna, il Fronte nazionale in Francia, la Lega Nord, Fratelli
d’Italia o – in modo diverso – il Movimento 5 Stelle in Italia,
Ciudadanos in Spagna, presentano delle differenze reali, ma sfidano
tutti tanto la sinistra quanto la destra. Da qui il dilemma dei partiti
che si trovano ad affrontare una concorrenza a destra (non è il caso
della Spagna): continuare a fare riferimento ai loro valori tradizionali
per conservare gli elettori moderati o addirittura sedurre quelli della
sinistra e gli ecologisti, come fa per esempio Angela Merkel? Oppure
spostarsi il più possibile a destra sperando di recuperare gli elettori
perduti, come cerca di fare Sarkozy in Francia? Bisogna ispirarsi a
Marine Le Pen o Donald Trump, come fanno Matteo Salvini e molti altri
esponenti della destra italiana, a rischio di perdere gli elettori
centristi?
La seconda sfida è quella della leadership. La destra
si era adattata molto più facilmente della sinistra alla democrazia del
pubblico, che accorda un ruolo fondamentale al leader che si rivolge
direttamente all’opinione pubblica. L’adattamento variava a seconda dei
Paesi e delle loro istituzioni, sistemi elettorali, partiti e tradizioni
politiche. Ma la tendenza era netta.
Ora la destra sperimenta
amaramente che più il leader è forte più è debole, perché costantemente
esposto. La minima sconfitta elettorale lo mette direttamente in
pericolo. E l’usura del tempo e del potere produce effetti devastanti,
specialmente quando si tratta di gestire la successione: la fine di
Berlusconi diventa patetica; il tentativo di ritorno in campo di Nicolas
Sarkozy sta assumendo i tratti di una via crucis; Mariano Rajoy si
gioca la sua sopravvivenza politica e giudiziaria e una sua eventuale
caduta potrebbe trascinare con sé anche il partito che guidava come un
dittatore; la sorte di Cameron si giocherà sull’esito del referendum che
lui stesso ha scelto di organizzare; solo Angela Merkel sembra riuscire
a cavarsela, forte dell’assenza, almeno per il momento, di rivali seri.
Certo,
la destra e la sinistra rimangono le principali forze di governo. E
incontestabilmente la destra se la passa molto meno male della sinistra.
Ma entrambe sono destabilizzate, e questo per l’Europa rappresenta un
cambiamento considerevole, se non addirittura storico, che si declina in
forma variabile da un Paese all’altro. Destra e sinistra sono lacerate
tra posizioni inconciliabili: alcuni sono tentati dalla radicalizzazione
del loro campo (bisogna essere “veramente” di sinistra o “veramente” di
destra), altri si battono per trasformazioni profonde o addirittura per
il superamento degli schieramenti tradizionali. Siamo entrati con ogni
probabilità in una fase di profonda ricomposizione: non solamente dei
partiti, ma delle culture e identità politiche dell’Europa.
(Traduzione di Fabio Galimberti)