sabato 19 marzo 2016

Repubblica 1.3.16
Il dilemma delle destre
di Marc Lazar

PRIMA, in Europa, la situazione in campo politico era chiara. La sinistra, ormai da decenni, perdeva elettori, iscritti, influenza culturale, ed era profondamente divisa su quasi tutti gli argomenti. Era in preda a un declino, definito talvolta come irresistibile. I suoi avversari se ne rallegravano, i suoi sostenitori lo deploravano, gli studiosi ne facevano uno dei loro campi di studio prediletti. La destra, al contrario, sembrava sprizzare salute: alcuni saggisti affermavano che la sua vittoria era ormai ineluttabile e le pronosticavano un radioso avvenire, visto e considerato che le nostre società sono dominate dall’ideologia liberista, popolate da esseri profondamente individualisti, narcisisti, consumisti e sempre più vecchi e dunque conservatori inveterati.
Ora sta esplodendo un fatto nuovo: anche la destra si sta frantumando e indebolendo. L’Italia ne offre un eccellente esempio, con i conflitti tra Forza Italia, Lega Nord, Destra e Fratelli d’Italia. In Germania, la Cdu-Csu sta affrontando una grande crisi sulla questione dei migranti e sotto la pressione dei successi elettorali dell’Afd (Alternativa per la Germania), che ha registrato un’avanzata clamorosa nelle ultime tre elezioni regionali. Il Partito popolare spagnolo alle elezioni dello scorso dicembre ha perso più di 3 milioni e 600mila elettori, in gran parte confluiti nell’astensione o passati a Ciudadanos, ed è scosso da scandali di corruzione e finanziamento illecito. Il Partito conservatore britannico sta andando in pezzi sulla questione del referendum per la permanenza nell’Unione Europea previsto per giugno. In Francia, la destra si sta spaccando in vista delle primarie del prossimo autunno, che designeranno il candidato alle presidenziali del 2017.
A sconquassare la destra è la crisi economica, ma soprattutto l’evoluzione dell’Unione Europea, gli effetti della globalizzazione e la gestione dei migranti. E oltre a queste ci sono altre due grandi sfide. La prima nasce dei successi dei nuovi partiti contestatari e populisti, che sono diversissimi tra un Paese e l’altro, ma fanno tutti appello al popolo, si presentano come nuovi (e a volte lo sono davvero) e criticano la collusione dei partiti tradizionali che cercano di bloccare la competizione politica per impedire ad altre formazioni di accedere al potere e beneficiare delle sue risorse, simboliche e materiali. L’Afd in Germania, l’Ukip in Gran Bretagna, il Fronte nazionale in Francia, la Lega Nord, Fratelli d’Italia o – in modo diverso – il Movimento 5 Stelle in Italia, Ciudadanos in Spagna, presentano delle differenze reali, ma sfidano tutti tanto la sinistra quanto la destra. Da qui il dilemma dei partiti che si trovano ad affrontare una concorrenza a destra (non è il caso della Spagna): continuare a fare riferimento ai loro valori tradizionali per conservare gli elettori moderati o addirittura sedurre quelli della sinistra e gli ecologisti, come fa per esempio Angela Merkel? Oppure spostarsi il più possibile a destra sperando di recuperare gli elettori perduti, come cerca di fare Sarkozy in Francia? Bisogna ispirarsi a Marine Le Pen o Donald Trump, come fanno Matteo Salvini e molti altri esponenti della destra italiana, a rischio di perdere gli elettori centristi?
La seconda sfida è quella della leadership. La destra si era adattata molto più facilmente della sinistra alla democrazia del pubblico, che accorda un ruolo fondamentale al leader che si rivolge direttamente all’opinione pubblica. L’adattamento variava a seconda dei Paesi e delle loro istituzioni, sistemi elettorali, partiti e tradizioni politiche. Ma la tendenza era netta.
Ora la destra sperimenta amaramente che più il leader è forte più è debole, perché costantemente esposto. La minima sconfitta elettorale lo mette direttamente in pericolo. E l’usura del tempo e del potere produce effetti devastanti, specialmente quando si tratta di gestire la successione: la fine di Berlusconi diventa patetica; il tentativo di ritorno in campo di Nicolas Sarkozy sta assumendo i tratti di una via crucis; Mariano Rajoy si gioca la sua sopravvivenza politica e giudiziaria e una sua eventuale caduta potrebbe trascinare con sé anche il partito che guidava come un dittatore; la sorte di Cameron si giocherà sull’esito del referendum che lui stesso ha scelto di organizzare; solo Angela Merkel sembra riuscire a cavarsela, forte dell’assenza, almeno per il momento, di rivali seri.
Certo, la destra e la sinistra rimangono le principali forze di governo. E incontestabilmente la destra se la passa molto meno male della sinistra. Ma entrambe sono destabilizzate, e questo per l’Europa rappresenta un cambiamento considerevole, se non addirittura storico, che si declina in forma variabile da un Paese all’altro. Destra e sinistra sono lacerate tra posizioni inconciliabili: alcuni sono tentati dalla radicalizzazione del loro campo (bisogna essere “veramente” di sinistra o “veramente” di destra), altri si battono per trasformazioni profonde o addirittura per il superamento degli schieramenti tradizionali. Siamo entrati con ogni probabilità in una fase di profonda ricomposizione: non solamente dei partiti, ma delle culture e identità politiche dell’Europa.
(Traduzione di Fabio Galimberti)