mercoledì 2 marzo 2016

La Stampa TuttoScienze 2.3.16
“Buchi neri e Big Bang? A svelarli ci penseranno le onde di Einstein”
Ultima messa a punto per il via all’esperimento italiano “Virgo”
“Quelle gravitazionali sono una rivoluzione: ecco cosa ci aspetta”
di Gabriele Beccaria

«Basta sollevare un bicchiere d’acqua per provocare un flusso di onde gravitazionali. Peccato che siano così deboli che forse non riusciranno mai a rilevarle nemmeno i nipoti dei nostri pronipoti. Intanto, però, altre onde gravitazionali sono state intercettate. Provocate da un fenomeno ben più robusto, ci stanno regalando un nuovo senso, un sesto senso, con il quale studiare l’Universo».
Fulvio Ricci è il responsabile di «Virgo», il mega-esperimento a Cascina, non lontano da Pisa, che ha lo stesso ambizioso obiettivo di «Ligo», il test a stelle e strisce che ha intercettato, per la prima volta, le onde gravitazionali provenienti dall’incontro-scontro tra due buchi neri. Dopo lo storico annuncio dell’11 febbraio scorso, le apparecchiature in Louisiana e nello Stato di Washington scrutano altri arrivi delle onde previste dalla Relatività di Einstein: increspature dello spazio-tempo causate da oggetti massicci in accelerazione, come, appunto, buchi neri o coppie di stelle pulsar. Ricci le spiega con questa metafora: «Immaginiamo lo spazio-tempo come un’immensa palla di gomma. Quando qualche elemento all’interno viene eccitato, la perturbazione si propaga e tutto finisce per vibrare».
Così ogni tempesta locale si fa sentire intorno a sé e poi, via via, a distanze sempre maggiori, intrecciandone altre. «E la palla continuamente si altera, vivendo di vita propria». Concepito in questo modo, l’Universo appare un luogo frenetico, quasi da videogioco: le onde si moltiplicano e si incrociano in straordinari arabeschi, simili a quelle provocate da una pioggia di sassi e sassolini sulla superficie di un lago.
Professore, quando entrerà in azione «Virgo»?
«Stiamo lavorando all’ottica, sui sofisticati specchi degli interferometri: sono gli strumenti che misurano le piccolissime differenze delle distanze a terra, quando queste vengono alterate dal passaggio delle onde gravitazionali. È la fase di “commissioning”: contiamo di partire il prossimo autunno e raccoglieremo i dati in collaborazione con “Ligo”».
Onde gravitazionali e buchi neri: due icone dei misteri che racchiude il cosmo sono apparse sulla scena per un attimo. Cosa significa questa associazione così straordinaria?
«Ambedue sono previsioni della Relatività generale, ma finora avevamo solo indicazioni indirette della loro esistenza, anche se una, clamorosa, è legata al Nobel, dato nel 1993 a Joseph Taylor e Russell Hulse, per la scoperta di un nuovo tipo di pulsar e quindi alla possibilità di studiare le stesse onde gravitazionali. Ora la portata di ciò che è avvenuto con l’annuncio dell’11 febbraio è paragonabile alla svolta impressa da Galileo quando punta il suo cannocchiale».
Come spiega questa rivoluzione di inizio XXI secolo?
«La logica, in fondo, è la stessa: osserviamo un nuovo mondo. È la prima volta che per vedere l’Universo ricorriamo a un occhio che non è quello che abbiamo usato finora».
Il fisico Kip Thorne ha detto che con questo occhio avete contemplato una tempesta dove, invece, osservavate un panorama calmo: cosa significa?
«Eravamo abituati a trattare i problemi della gravitazione nel dominio della gravità debole, studiando, quindi, il moto dei pianeti. Ed erano misure effettuate con velocità di migliaia di km l’ora. Stavolta, invece, le condizioni sono state del tutto inusuali: il fenomeno coinvolgeva masse gigantesche, pari a circa 30 volte quella del Sole per ogni buco nero, in un incontro a una velocità di 150 mila km al secondo, vale a dire metà della velocità della luce».
D’ora in poi cosa potranno svelarci le onde gravitazionali?
«Ci daranno uno strumento per capire come si comporta la materia in condizioni estreme, per esempio in una stella di neutroni. E, forse, come funziona un buco nero, al di là del cosiddetto “orizzonte degli eventi”. Per non parlare della possibilità di analizzare la radiazione cosmica di fondo a frazioni di secondo dopo il Big Bang: arrivare così vicini alla creazione è una prospettiva sconvolgente».