La Stampa 7.3.16
Da Tripoli più pericoli per l’Italia
di Lorenzo Vidino
Lorenzo Vidino è il direttore del programma sull’estremismo presso la George Washington University di Washington DC
Sembrerà
strano a dirsi, visti i titoli di giornale e gli avvertimenti su
possibili attacchi terroristici di matrice jihadista contro il nostro
Paese che da un paio d’anni sentiamo con cadenza quasi quotidiana, ma
l’Italia è finora stata un’isola felice nel preoccupante panorama
europeo della sicurezza. Senza ombra di dubbio, come rende ampiamente
chiaro la relazione presentata dai servizi al Parlamento la settimana
scorsa, network e individui legati allo Stato Islamico e, più in
generale, alla galassia jihadista, sono attivi anche nel nostro Paese.
Ma
le dimensioni del fenomeno sono molto più ridotte che altrove, rendendo
la mole di lavoro del nostro antiterrorismo molto più maneggevole
rispetto a quella delle controparti d’Oltralpe. Basti pensare
all’emergenza foreign fighters: i jihadisti unitisi alle file del
Califfato in Siria sono quasi 2000 dalla Francia, poco meno di mille
dalla Gran Bretagna e dalla Germania, e alcune centinaia anche da Paesi
dalle dimensioni ridotte come Belgio, Austria e Danimarca.
Quelli
nostrani, invece, sono meno di cento, sintomo che la penisola non è
ancora diventata un bacino di quella sottocultura salafita/jihadista
che, invece, è diventata popolare tra tante seconde generazioni
islamiche in Paesi del Centro-Nord Europa. Si aggiunga a ciò un ruolo
relativamente defilato in politica estera e un ottimo controllo da parte
dell’antiterrorismo, e si ha una situazione di relativa calma.
La
variabile che potrebbe stravolgere l’equazione, il volano di un
possibile aggravarsi della minaccia, è la Libia. Da mesi lo Stato
Islamico e i suoi simpatizzanti ci minacciano sia attraverso filmati con
carri armati che sventolano i temuti drappi neri e bianchi puntando al
Colosseo e riferimenti al passato coloniale, sia per mezzo degli ormai
routinari annunci di prossime conquiste di Roma e del Vaticano. Ma è
chiaro che la possibilità di ritorsioni aumentano vertiginosamente in
caso di un nostro coinvolgimento più attivo nel caos libico.
Pur
senza avere la palla di cristallo o voler essere allarmisti, gli scenari
possibili sono molteplici. Una prima minaccia emana direttamente dalla
Libia, dove i seguaci del Califfo potrebbero attaccare non solo i pochi
obiettivi italiani ancora presenti ma anche spingersi nel Mediterraneo,
prendendo d’assalto imbarcazioni militari e commerciali (pescherecci,
navi da crociera) italiane. Ma la paura più forte è quella per attacchi
sul nostro territorio. I servizi parlano di minaccia «strutturata» o
«puntiforme». La prima è quella che emana direttamente dallo Stato
Islamico ed è quella potenzialmente più letale. Si possono ipotizzare
commandos di terroristi che arrivano da fuori e che seminano il terrore
con attacchi sincronizzati. Gli attacchi di novembre a Parigi,
perpetrati da una cellula di base nella vicina Bruxelles, hanno mostrato
come quel «fuori» possa essere anche un altro Paese europeo dal quale
gli attentatori, con tutta probabilità foreign fighters con passaporti
europei, possono giungere indisturbati e all’ultimo minuto. Ma si teme
anche l’attivazione di cellule dormienti già presenti sul territorio. In
tal senso desta particolare paura il network legato ad Ansar al Sharia,
formazione jihadista tunisina ormai di base in Libia. Alcuni dei leader
del gruppo, infatti, avevano dimorato a lungo tempo nel Nord Italia e
hanno mantenuto contatti nel nostro Paese.
La minaccia puntiforme,
invece, è quella dei lupi solitari, schegge impazzite autoctone e
auto-reclutate che si attivano spontaneamente. Potenzialmente meno
letali, sono però di più difficile individuazione proprio per la
mancanza di contatti con reti strutturate note all’intelligence. Di
esempi ce ne sono già stati, dal convertito siciliano Domenico Quaranta
che aveva fatto detonare varie bombole del gas per ritorsione
all’invasione dell’Afghanistan del 2001, al libico Mohamed Game che
cercò di farsi saltare in aria davanti ad una caserma di Milano nel
2009. Oggi il numero dei potenziali lupi solitari è di molto cresciuto,
anche grazie alla diffusione del credo jihadista sui social network.
Questi
vari scenari, ben noti alla nostra intelligence, che possono derivare
da un nostro maggiore coinvolgimento in Libia, vanno soppesati con i
rischi di una mancata azione, che probabilmente porterebbe ad una
metastasi del cancro jihadista in territorio libico e, nel lungo
termine, ad una più grave minaccia per la nostra sicurezza. In ogni
caso, è evidente che il caos libico avrà ripercussioni sul nostro Paese.