Corriere 7.3.16
Barbara D’Urso e il «tu» al premier
Va in onda la politica pop
«Come stai Matteo?». In altri tempi, questo eccesso
di
confidenza tra una conduttrice tv e il presidente del Consiglio sarebbe
parso fuori luogo. Oggi no, oggi la disintermediazione è pane
quotidiano e la politica non prova nessuna vergogna a darsi in pasto
all’industria dell’intrattenimento, prigioniera delle battute e delle
emozioni, là dove prima cercava d’imporsi con la forza dei ragionamenti e
delle idealità. Sabato Matteo Salvini era ospite di Maria De Filippi,
ieri Matteo Renzi ha preferito Barbara D’Urso: è iniziata «la politica
in affitto». Il presidente del Consiglio ha aspettato che finissero le
partite di calcio e alle 17 in punto si è presentato a «Domenica Live». È
rimasto in studio per più di 45 minuti, ha trovato una perfetta
complice nella conduttrice, ha celebrato i suoi successi (bonus bebè,
diritti civili, omicidi stradali, Ici, banche...), ha mandato persino un
avvertimento ai «commentatoroni» che si credono superiori alle sue
partecipazioni televisive, ha avuto modo di piazzare qualche
spiritosaggine e di mostrarsi galante nei confronti della sua ospite. È
la politica pop, è la politica dell’autorappresentazione, è la politica
nell’era dello storytelling. I giornalisti della carta stampata
diffondono sfiducia (sempre a parlare delle cose che non vanno, della
cattiva politica), i talk show d’approfondimento sono infidi (gente che
urla e insulta), i telegiornali offrono poco spazio. Molto meglio i
posti dov’è possibile fare narrazione e dove non c’è spazio alcuno per
le contronarrazioni: per questo Renzi sceglie con piacere i salotti di
Bruno Vespa o di Barbara D’Urso. Alla tradizionale mediazione è
preferibile la contiguità, più spiccia ed efficace. Non solo: il
rapporto diretto con il pubblico, nella velocità impressa ai media dalle
nuove tecnologie, è un valore in sé, accresciuto dal fatto che Renzi è
un intrattenitore nato. Non si è fatto mancare nulla, ha citato pure
Checco Zalone. E la conduttrice ha ricambiato: «Sei più bravo di me a
fare questo lavoro». I sondaggi (ah, i sondaggi!) dicevano che la gran
parte degli italiani è contraria alla guerra in Libia e il presidente
del Consiglio l’ha subito rassicurata: «Vedo gente che dice mandiamoci
5.000 uomini. È un videogioco? Ci vuole molta calma». E poi: «Bisogna
entrare in Libia in punta di piedi» (versione renziana della politica
americana dei «boots on the ground»). Dietro le quinte c’era Fedele
Confalonieri. Possiamo dire che questo incontro è stato il «patto
surrogato» del Nazareno?