La Stampa 6.3
Papa Francesco non trascuri la dimensione laica
di Gian Enrico Rusconi
Non
è facile essere laici al tempo di Bergoglio, soprattutto in questo
Paese dove tutti si dichiarano laici. La confusione non proviene
soltanto dal mondo confessionale, ma anche da non credenti dichiarati
che godono di grande impatto mediatico. Qualche laico poi ha frainteso
l’appassionata insistenza di Papa Francesco sul tema della
«misericordia» come una forma di relativizzazione del concetto di
peccato. Come una sorta di sua implicita laicizzazione. È un grande
equivoco, anche se l’ermeneutica anzi la semantica del Papa sono
tutt’altro che innocue rispetto alle formule dogmatiche tradizionali.
Certo: la discriminante della laicità non passa più semplicemente tra
credenti e non credenti. Ma decisivi rimangono pur sempre i contenuti
del credere, del non credere o del credere con modalità diverse e
divergenti dalla dottrina tradizionale.
Lasciano quindi perplessi
alcune dichiarazioni di fede religiosa di intellettuali e politici di
sinistra, sedotti da Papa Francesco. Con tutto il rispetto e la
discrezione per la loro posizione, è rilevante che siano espliciti i
contenuti religiosi o teologici che ora intendono accettare. Non basta
l’entusiamo per un Pontefice che parla contro lo sfruttamento,
l’emarginazione, l’ingiustizia, la violenza delle guerre e affronti
positivamente la questione delle migrazioni. Papa Bergoglio parla anche -
sistematicamente e insistentemente - di Cristo nel senso fondativo del
termine. Non è un accessorio culturale: è il centro del suo discorso, è
l’essenza della visione del mondo del credente. Da qui discende tutto il
resto. Questo non vuol dire che su «tutto il resto» - che è vastissimo -
non ci possano essere convergenze con i non credenti e/o laici. Ma ad
un certo punto interviene come qualificante la dimensione politica e
pratica della laicità.
Oggi non ci si divide più politicamente
sulla figura di Cristo o sulla ricostruzione storico-critica delle
origini del cristianesimo, ma già l’idea della creazione solleva seri
problemi quando si entra nell’ambito dell’insegnamento scolastico (come
vediamo in America nello scontro tra creazionisti ed evoluzionisti). Più
divisivi ancora sono gli argomenti che riguardano la famiglia e i
problemi bioetici. Su questi temi la laicità dello Stato richiede che -
in vista della deliberazione politica - non debbano essere messi in
gioco argomenti religiosi.
A questo proposito è bene ribadire che
la laicità nella democrazia non è semplicemente una opzione privata (una
visione del mondo omologabile alla fede religiosa) ma è lo statuto
stesso della cittadinanza. Laicità è la disponibilità a far funzionare
le regole della convivenza democratica partendo dalla pluralità e
persino dal contrasto delle «visioni della vita» e della «natura umana»
che hanno i diversi cittadini. Questo punto rischia di diventare un
grosso problema proprio perché quella di «natura umana» è il concetto
forse più divisivo nella cultura contemporanea e per molti ha forti
implicazioni religiose.
Prendiamo ad esempio l’idea di matrimonio e
di «famiglia naturale» che è diventato un cavallo di battaglia nelle
recenti polemiche parlamentari di casa nostra. È nota la dottrina della
Chiesa che lega esplicitamente il concetto di famiglia naturale
«all’ordine della creazione che evolve verso l’evento della redenzione» .
Così ha ribadito l’ultimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia, parlando
appunto di «matrimonio naturale delle origini». È comprensibile che i
parlamentari cattolici non introducono esplicitamente nel discorso
pubblico-politico l’argomento religioso che fa riferimento diretto alla
creazione-redenzione secondo la tradizione cristiana. Ma rimangono
assolutamente impermeabili ad ogni argomentazione storica, scientifica e
antropologica che mostra quanto varia e complessa è stata ed è l’unione
tra uomo e donna (e la famiglia in generale) in tutte le culture
compresa quella cui apparteniamo.
La straordinaria sensibilità di
Papa Bergoglio nel comprendere e nell’aprire alla «misericordia» le
tante famiglie ferite, disastrate e in difficoltà non avalla alcuna
novità di principio nella concezione della «famiglia naturale» detta
sopra. La sua recente dichiarazione di non volersi «mischiare» nella
politica italiana a proposito di «unioni civili» non modifica in nulla
l’equivoca situazione in cui permane la politica nostrana.
È
interessante invece come il Pontefice si sia espresso sulla laicità in
un altro contesto, incontrando una qualificata delegazione di cattolici
francesi. Ha ripreso il noto e collaudato concetto di «sana laicità»
combinando, secondo il suo stile, tesi tradizionali con accenti
personali. «Una laicità sana include un’apertura a tutte le forme di
trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche.
D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» aggiunge
accompagnando la parola con un gesto della mano che parte dal cuore
(così osserva il commentatore dell’Osservatore romano, da cui prendo le
citazioni). Ma poi aggiunge: «Una critica che faccio alla Francia è che
la laicità risulta talvolta troppo legata alla filosofia
dell’Illuminismo, per il quale le religioni erano una sottocultura. La
Francia non è ancora riuscita a superare questo retaggio». Questa
affermazione critica coglie di sorpresa un autorevole partecipante
all’incontro che si permette di far osservare al Pontefice che «la sua
analisi è un po’ dura». «Tanto meglio!», esclama Francesco, con aria
sinceramente allegra.
Non è in caso di soppesare più del
necessario queste e altre osservazioni che il Papa fa nel corso della
sua instancabile attività comunicativa. Il suo approccio ermeneutico e
semantico è per definizione flessibile e aperto agli incontri, ai
contatti, alle frustrazioni, ai successi. Un aspetto tuttavia mi sembra
carente. Manca una più meditata considerazione degli argomenti laici.
Non basta la simpatia per le persone. Occorre quello che Jürgen Habermas
chiama «reciprocità cognitiva tra fede e ragione». Occorre andare più a
fondo nello scambio reciproco di ragioni e di argomenti.