domenica 6 marzo 2016

La Stampa 6.3
Papa Francesco non trascuri la dimensione laica
di Gian Enrico Rusconi


Non è facile essere laici al tempo di Bergoglio, soprattutto in questo Paese dove tutti si dichiarano laici. La confusione non proviene soltanto dal mondo confessionale, ma anche da non credenti dichiarati che godono di grande impatto mediatico. Qualche laico poi ha frainteso l’appassionata insistenza di Papa Francesco sul tema della «misericordia» come una forma di relativizzazione del concetto di peccato. Come una sorta di sua implicita laicizzazione. È un grande equivoco, anche se l’ermeneutica anzi la semantica del Papa sono tutt’altro che innocue rispetto alle formule dogmatiche tradizionali. Certo: la discriminante della laicità non passa più semplicemente tra credenti e non credenti. Ma decisivi rimangono pur sempre i contenuti del credere, del non credere o del credere con modalità diverse e divergenti dalla dottrina tradizionale.
Lasciano quindi perplessi alcune dichiarazioni di fede religiosa di intellettuali e politici di sinistra, sedotti da Papa Francesco. Con tutto il rispetto e la discrezione per la loro posizione, è rilevante che siano espliciti i contenuti religiosi o teologici che ora intendono accettare. Non basta l’entusiamo per un Pontefice che parla contro lo sfruttamento, l’emarginazione, l’ingiustizia, la violenza delle guerre e affronti positivamente la questione delle migrazioni. Papa Bergoglio parla anche - sistematicamente e insistentemente - di Cristo nel senso fondativo del termine. Non è un accessorio culturale: è il centro del suo discorso, è l’essenza della visione del mondo del credente. Da qui discende tutto il resto. Questo non vuol dire che su «tutto il resto» - che è vastissimo - non ci possano essere convergenze con i non credenti e/o laici. Ma ad un certo punto interviene come qualificante la dimensione politica e pratica della laicità.
Oggi non ci si divide più politicamente sulla figura di Cristo o sulla ricostruzione storico-critica delle origini del cristianesimo, ma già l’idea della creazione solleva seri problemi quando si entra nell’ambito dell’insegnamento scolastico (come vediamo in America nello scontro tra creazionisti ed evoluzionisti). Più divisivi ancora sono gli argomenti che riguardano la famiglia e i problemi bioetici. Su questi temi la laicità dello Stato richiede che - in vista della deliberazione politica - non debbano essere messi in gioco argomenti religiosi.
A questo proposito è bene ribadire che la laicità nella democrazia non è semplicemente una opzione privata (una visione del mondo omologabile alla fede religiosa) ma è lo statuto stesso della cittadinanza. Laicità è la disponibilità a far funzionare le regole della convivenza democratica partendo dalla pluralità e persino dal contrasto delle «visioni della vita» e della «natura umana» che hanno i diversi cittadini. Questo punto rischia di diventare un grosso problema proprio perché quella di «natura umana» è il concetto forse più divisivo nella cultura contemporanea e per molti ha forti implicazioni religiose.
Prendiamo ad esempio l’idea di matrimonio e di «famiglia naturale» che è diventato un cavallo di battaglia nelle recenti polemiche parlamentari di casa nostra. È nota la dottrina della Chiesa che lega esplicitamente il concetto di famiglia naturale «all’ordine della creazione che evolve verso l’evento della redenzione» . Così ha ribadito l’ultimo Sinodo dei vescovi sulla famiglia, parlando appunto di «matrimonio naturale delle origini». È comprensibile che i parlamentari cattolici non introducono esplicitamente nel discorso pubblico-politico l’argomento religioso che fa riferimento diretto alla creazione-redenzione secondo la tradizione cristiana. Ma rimangono assolutamente impermeabili ad ogni argomentazione storica, scientifica e antropologica che mostra quanto varia e complessa è stata ed è l’unione tra uomo e donna (e la famiglia in generale) in tutte le culture compresa quella cui apparteniamo.
La straordinaria sensibilità di Papa Bergoglio nel comprendere e nell’aprire alla «misericordia» le tante famiglie ferite, disastrate e in difficoltà non avalla alcuna novità di principio nella concezione della «famiglia naturale» detta sopra. La sua recente dichiarazione di non volersi «mischiare» nella politica italiana a proposito di «unioni civili» non modifica in nulla l’equivoca situazione in cui permane la politica nostrana.
È interessante invece come il Pontefice si sia espresso sulla laicità in un altro contesto, incontrando una qualificata delegazione di cattolici francesi. Ha ripreso il noto e collaudato concetto di «sana laicità» combinando, secondo il suo stile, tesi tradizionali con accenti personali. «Una laicità sana include un’apertura a tutte le forme di trascendenza, secondo le differenti tradizioni religiose e filosofiche. D’altro canto anche un laico può avere un’interiorità» aggiunge accompagnando la parola con un gesto della mano che parte dal cuore (così osserva il commentatore dell’Osservatore romano, da cui prendo le citazioni). Ma poi aggiunge: «Una critica che faccio alla Francia è che la laicità risulta talvolta troppo legata alla filosofia dell’Illuminismo, per il quale le religioni erano una sottocultura. La Francia non è ancora riuscita a superare questo retaggio». Questa affermazione critica coglie di sorpresa un autorevole partecipante all’incontro che si permette di far osservare al Pontefice che «la sua analisi è un po’ dura». «Tanto meglio!», esclama Francesco, con aria sinceramente allegra.
Non è in caso di soppesare più del necessario queste e altre osservazioni che il Papa fa nel corso della sua instancabile attività comunicativa. Il suo approccio ermeneutico e semantico è per definizione flessibile e aperto agli incontri, ai contatti, alle frustrazioni, ai successi. Un aspetto tuttavia mi sembra carente. Manca una più meditata considerazione degli argomenti laici. Non basta la simpatia per le persone. Occorre quello che Jürgen Habermas chiama «reciprocità cognitiva tra fede e ragione». Occorre andare più a fondo nello scambio reciproco di ragioni e di argomenti.