La Stampa 31.3.16
Gli scenari che Renzi non controlla
di Giovanni Orsina
Quanto
 conta nella narrazione renziana la posizione che l’Italia ha nel mondo?
 Moltissimo, senza alcun dubbio. Fin dagli esordi, mostrando uno dei 
suoi tratti berlusconiani più evidenti, Renzi ha impostato la propria 
comunicazione sulla necessità che il Paese si trascinasse fuori dalla 
palude del pessimismo. E poiché l’Italia è sempre stata affetta da 
un’insopprimibile senso di inferiorità nei confronti delle nazioni 
«civili» d’Europa, lo sforzo di restituirle la fiducia in se stessa non 
poteva che prendere forma comparativa: non soltanto siamo un grande 
Paese, ma siamo un Paese «tanto» grande «quanto» gli altri. E la 
grandezza, quegli altri, ce la devono riconoscere.
Gli italiani 
quest’operazione sembrano averla gradita. Un po’, in generale, perché a 
chi prova un senso atavico di inferiorità non dispiace sentirsi dire che
 non ha ragione di provarlo – Berlusconi ha vinto più di un’elezione 
anche grazie a questo. E molto, più nello specifico, perché la crisi del
 2011 e la vicenda del governo Monti hanno alimentato quel senso 
d’inferiorità, accrescendo in misura proporzionale anche un desiderio di
 riscatto che non sembra essersi spento.
Non è un caso perciò che –
 stando almeno ai sondaggi – la politica «muscolare» seguita da Renzi in
 Europa negli ultimi mesi sia stata apprezzata dall’opinione pubblica.
La
 narrazione «grande Italia nel mondo», tuttavia, non manca di rischi. 
Soprattutto perché aggiunge al renzismo un ulteriore controllo di realtà
 oltre a quello della situazione economica. Ossia perché espone il 
presidente del Consiglio su un terreno che non può controllare se non in
 piccola parte. Proprio su quel terreno si sono presentate in questi 
giorni almeno tre sfide che potrebbero mettere sotto pressione la 
narrazione renziana. Tre sfide alle quali bisogna poi aggiungere un dato
 strutturale, e forse una quarta sfida.
La questione dei marò, 
innanzitutto, si è riacutizzata ieri, nel momento in cui l’India ha 
dichiarato inammissibile la richiesta di far rientrare Salvatore Girone.
 Renzi può a buon titolo minimizzare le proprie responsabilità 
affermando che si tratta di un’eredità del gabinetto Monti – ma può 
farlo soltanto fino a un certo punto, visto che la sua retorica della 
«svolta» consiste proprio nella promessa di dar soluzione ai problemi 
che i suoi predecessori non hanno saputo risolvere. Il caso di Giulio 
Regeni, in secondo luogo, sta acquistando importanza e urgenza via via 
crescenti. Non sarà facile al governo destreggiarsi fra la sacrosanta 
richiesta di verità sulla sua morte e di castigo per i suoi assassini da
 un lato, e dall’altro l’esigenza di non contribuire a destabilizzare un
 paese cruciale come l’Egitto – del quale, per altro, l’Italia è il 
primo partner commerciale in Europa.
La terza sfida, 
potenzialmente ben più devastante delle prime due per gli equilibri 
politici nazionali, è la notevole crescita dei flussi migratori, e in 
particolare dei flussi di migranti per motivi economici, che s’è 
manifestata nel primo trimestre di quest’anno e che potrebbe 
consolidarsi nei mesi a venire. Con una tornata importante di elezioni 
municipali fra un paio di mesi, il referendum costituzionale in autunno –
 inevitabilmente destinato almeno in parte, e forse in larga parte, a 
trasformarsi in un voto pro o contro Renzi –, e la Lega e il Movimento 5
 stelle in buona forma, il presidente del Consiglio di tutto avrebbe 
bisogno tranne che di ondate su ondate di migranti che approdano a 
Lampedusa in primavera ed estate. In un quadro europeo, per altro, che 
su questi temi rimane quanto mai fragile e ambiguo.
Il dato 
strutturale, infine, è quello contro il quale le narrazioni ottimistiche
 sull’Italia nel mondo naufragano da sempre: le nostre debolezze 
oggettive. Debolezza nei fondamentali economici, che non ci agevola 
certo quando aspiriamo a un ruolo di leadership in Europa. E debolezza 
dello spirito pubblico, che vorrebbe sì abitare nel corpo d’un grande 
Paese, ma si ritira immediatamente quando si tratta, per quella 
grandezza, di pagare il conto. Proprio con quest’ultima debolezza la 
narrazione renziana potrebbe scontrarsi presto se, come sembra da 
ultimo, la situazione politica in Libia evolverà positivamente, e 
l’Italia dovrà affrontare la sua quarta sfida: impegnarsi al di là del 
Mediterraneo.
 
