Il Sole 31.3.16
Il nodo della sicurezza
Per arrivare a un
governo di unità bisogna superare l’ostilità di un’ampia parte del
Paese e il territorio non si può controllare da una base navale
Sbarco simbolico, cammino ancora lungo
di Roberto Bongiorni
Arrivare
via terra, con un lungo convoglio? Impensabile. In aereo? Opzione
scartata. Soprattutto da quando il governo ombra di Tripoli, ostile,
aveva appositamente chiuso lo scalo, e raffiche di contraerea delle sue
milizie echeggiavano nell’aria come un lugubre avvertimento.
Accompagnato
da sette membri del Consiglio di presidenza, il premier del nuovo
governo libico di unità nazionale, Fayez Sarraj, è stato costretto ad
arrivare nella capitale della Libia via mare, a bordo di una fregata
militare. Quasi fosse un conquistatore in un Paese ostile. La sede di
questo controverso Governo, la cui composizione è stata rinviata per
mesi a causa delle rivalità tra i riottosi parlamentari libici, sarà la
base navale di Abu Seta.
La richiesta ufficiale da parte di un
governo di unità nazionale è considerata da molti Paesi occidentali come
la condizione per dare il via all’attesa missione militare
internazionale finalizzata in teoria a stabilizzare il Paese. In pratica
anche a dare una mano ai libici a sbarazzarsi della presenza dell’Isis.
Se il buongiorno si vede dal mattino saranno tempi davvero duri. «È
urgente un pacifico e ordinato passaggio dei poteri» al governo di
unità, ha affermato Martin Kobler, l’inviato dell’Onu per la Libia. Ma
la situazione è molto complessa. E rischiosa. Soprattutto quando si
parla di passaggio dei poteri. Chi deve cedere il potere? E a chi?
Occorre
tornare indietro all’estate del 2014, quando una coalizione di milizie
di tendenza islamica (Alba libica) conquista con la forza la città di
Tripoli insediando un governo parallelo. Gli onorevoli, spodestati,
fuggono a Tobruk, in Cirenaica. La loro prima sede per gli incontri è un
battello ancorato nel porto, pronto a salpare per il vicino Egitto se
le cose dovessero mettersi male. E mentre lo Stato islamico approfitta
di questo pericoloso vuoto di potere, il Paese si spacca; da una parte
il Governo ombra, con il suo Parlamento vicino ai Fratelli musulmani
(quindi non estremista anche se pur sempre islamico). Dall’altra il
Parlamento di Tobruk, di tendenze più “laiche”, che nel giugno del 2014
era stato ufficializzato da un’elezione riconosciuta dalla comunità
internazionale ma a cui, in verità, avevano partecipato pochi libici.
Due esecutivi, dunque, due parlamenti, due amministrazioni, perfino due
ministeri del petrolio che rivendicano la legittimità a gestire la sola
ricchezza di cui l’ex regno di Muammar Gheddafi dispone in abbondanza. E
basta poco perché i due governi, l’uno sostenuto dalla Turchia e dal
Qatar, l’altro, quello di Tobruk, dall’Egitto e dagli Emirati Arabi
Uniti, si facciano la guerra.
In carica dal 31 marzo del 2015,
Khalifa Ghwell, il premier del governo ombra di Tripoli, non ha certo
gradito l’arrivo del nuovo esecutivo definendolo «un pugno di persone». E
nella capitale non pochi cartelli esponevano sostegno al Governo che
dovrà fare i bagagli. Nei giorni scorsi Khalifa Ghwell aveva perfino
minacciato di arrestare i membri del nuovo governo. D’altronde è lui ad
avere il coltello dalla parte del manico. La sua forza militare, Alba
libica, di cui le milizie di Misurata compongono l’ossatura, è di gran
lunga più numerosa rispetto ai pochi soldati sbarcati per proteggere
Serraj. Se in Libia si comanda con le armi, allora, a meno di nuovi
accordi, Alba libica rischia di comandare ancora in Tripolitania.
E
qui, dunque, si arriva al nocciolo della questione. Come può governare e
controllare il territorio di un Paese così esteso come la Libia un
premier voluto dalla comunità occidentale se non riesce nemmeno a uscire
dalla base militare di Tripoli senza correre il rischio di essere
attaccato?
Insomma la sicurezza è tutto. E se non si risolveranno
tutte le spinose questioni legate alla sua gestione – chi sarà il capo
di stato maggiore? quali milizie devono essere disarmate e quali incluse
nel nuovo esercito? – lo sbarco di ieri sembra solo un gesto simbolico
destinato a lasciare le cose invariate. Senza contare che il governo di
unità piace poco ancora a molti onorevoli di Tobruk, che lo hanno
bocciato ripetutamente negli scorsi mesi.
Occorrerà dunque tonare
ancora al tavolo negoziale. Farlo presto, in fretta, e mettendo da parte
gli antichi rancori. Perché sono state proprio le divisioni, degenerate
in guerra, tra i due governi ad aver accelerato l’ascesa dell’Isis in
Libia.