La Stampa 31.3.16
Sanità pubblica, i conti non tengono
Mancano dieci miliardi di euro
Negli ospedali il 50% dei macchinari è obsoleto. E spendiamo 1 miliardo in farmaci griffati
di Paolo Russo
I
nuovi macchinari per la radioterapia che riescono a colpire con
precisione chirurgica le cellule tumorali al punto da poter fare a meno
del bisturi costano dai 2 ai 6 milioni di euro. Restano un miraggio per
gli ospedali d’Italia, dove la metà dei macchinari è obsoleta. Da
Oltreoceano stanno sbarcando le super-pillole contro Aids, tumori,
Alzheimer e altri gravi malattie. Il costo medio è di 100 mila euro a
ciclo terapeutico. Troppi per poterli garantire a tutti quelli che ne
hanno bisogno. E poi c’è una popolazione che invecchia ma mica tanto
bene se, come afferma la relazione sullo stato sanitario del Paese, gli
anni di disabilità che ci attendono sono ben 16. Ed anche questi sono
costi.
Dopo aver fatto i conti con l’emergenza pensioni, per l’Italia sembra giunto il momento di mettere mano alla questione sanità.
«La
selezione è già in atto non solo per i farmaci ma anche nella
chirurgia. Nell’efficiente Lombardia abbiamo liste d’attesa di nove mesi
perché non ci sono soldi né per i dispositivi chirurgici, né per pagare
gli anestesisti» dice Francesco Longo, economista sanitario della
Bocconi, che di vie di uscita ne vede una sola: «Portare il livello di
finanziamento al livello dei Paesi europei con i quali dovremmo
confrontarci». Come la Germania, dove la spesa sanitaria pubblica è di
2500 euro a cittadino contro i nostri 1800. Di miliardi in più, secondo
l’economista, ne occorrerebbero 10.
Di sicuro con una sanità
integrativa ferma al palo e un sistema di ticket che esenta oltre la
metà della popolazione i 111 miliardi di oggi sembrano non bastare più.
Se n’è accorta la Corte dei Conti, che vede nel 2015 un rosso da un
miliardo nei conti della sanità, dopo anni di tenuta a suon di
addizionali Irpef regionali. E vede rosso anche l’Aifa, l’Agenzia
italiana del farmaco che indica in un miliardo e 700 milioni lo
sforamento della spesa farmaceutica ospedaliera, quella dove finiscono i
medicinali più innovativi e costosi. E se il piatto piange oggi
figuriamoci domani quando i super-farmaci saranno molti di più.
Bisognerebbe risparmiare sui medicinali più datati, quelli con il
brevetto scaduto venduti come generici. Ma sarà la potenza del marketing
farmaceutico o la diffidenza degli italiani, da noi il farmaco griffato
la fa ancora da padrone. Tant’è che in un anno abbiamo speso di tasca
nostra quasi un miliardo di euro per pagare la differenza di prezzo tra
il generico e la pillola «di marca», pur di restare fedeli a
quest’ultima.
Contraddizioni che ritroviamo anche nel pianeta
ospedali, dove si preferiscono spendere soldi per centinaia di reparti
con più medici che pazienti, come dimostrano i rapporti dell’Agenas
(l’Agenzia per i servizi sanitari regionali), piuttosto che acquistare
tecnologia. Le apparecchiature diagnostiche obsolete sono 6400, con il
72% dei mammografi e il 76% dei sistemi radiografici datati più di 10
anni, racconta un recente rapporto di Assobiomedica. Del resto basta
vedere la storia dei «chirurghi robot». Sbandierati come la nuova
frontiera della chirurgia e capaci di abbattere la percentuale di
errore, restano fuori dalla sale operatorie, se non per interventi a
pagamento, visto che le tariffe di rimborso agli ospedali non tengono
conto dei 9mila euro in media di costo aggiuntivo.
E non è che nel
territorio le cose vadano meglio. Secondo la Bocconi dei 2 milioni e
mezzo di disabili, l’80% si arrangia da sé in assenza di assistenza
domiciliare.
Scricchiolii sinistri di un pezzo del nostro welfare
che continuiamo a chiamare universalistico ma che è già diventato
selettivo. A discapito dei più deboli.