La Stampa 30.3.16
Libia, i piani dell’Italia per l’intervento
Il governo considera l’impegno dei Tornado e delle forze speciali contro Isis
Dagli incursori ai Predator. L’Italia schiera le sue eccellenze
I nostri uomini possono attivarsi con un ordine di Palazzo Chigi
di Francesco Grignetti
Basta
 intendersi sulle parole. Quando Matteo Renzi dice «No all’invasione 
della Libia, sì ad azioni mirate contro il terrorismo», e le medesime 
parole usano i ministri Paolo Gentiloni e Roberta Pinotti, non stanno 
facendo altro che annunciare l’inizio di una «guerra segreta» come la 
s’intende oggi e come permette peraltro l’ultima risoluzione Onu di 
dicembre. E cioè osservazione dall’alto con satelliti e droni, raid 
aerei, intelligence, operazioni di alta chirurgia con i commando. Un po’
 quel che accadde qualche settimana fa a Sabratha.
Per questo tipo
 di guerra, non occorrono spiegamenti di truppe. Anzi. Servono però 
reparti ad altissima professionalità, che non mancano alle forze armate 
italiane. Abbiamo i Predator (due sono fissi in Kuwait) per 
l’osservazione diretta sul suolo libico. Cosa più importante, abbiamo 
ottimi piloti in remoto ed eccellenti analisti che sono in grado di 
«leggere» qualsiasi segnale grazie all’intreccio di segnali radar, 
infrarosso, visivi. Abbiamo anche un sistema di osservazione, il 
Cosmo-Skymed, quattro satelliti-spia che sono in grado di «vedere» 
oggetti di un metro di giorno come di notte. Infine l’Aeronautica ha 
cacciabombardieri ed equipaggi ben rodati.
Un primo drappello di 
cacciabombardieri leggeri Amx sono già stati spostati a Trapani e sono 
in grado di muoversi agilmente oltre il Mediterraneo. Nel caso 
occorresse un raddoppio, la portaerei Cavour è già davanti alle coste 
libiche. Si trova lì nell’ambito della missione «Mare Sicuro», che ha 
per l’appunto lo scopo di combattere il terrorismo. Nulla vieta che i 
piloti di marina con gli Harrier a decollo verticale, che sono a bordo 
del Cavour, siano dispiegati per azioni terrestri: è già successo in 
Afghanistan e nella Libia stessa soltanto pochi anni fa. Se poi fosse 
necessario, i vecchi ma ancora efficienti Tornado potrebbero essere 
spostati in Sicilia dalla base di Ghedi.
C’è poi l’aspetto più 
delicato: gli uomini che dovrebbero mettere piede a terra. Le forze 
armate hanno predisposto da tempo, su modello Nato, un Comando unificato
 delle forze speciali che sovrintende agli incursori del 9° battaglione 
Col Moschin e del 185° reggimento Ricognizione Acquisizione obiettivi 
(Esercito), del Comsubin (Marina) e del Gis (Carabinieri). Questi 
reparti d’eccellenza - poche centinaia di uomini in tutto - sono il 
meglio delle nostre forze armate e vengono utilizzati con parsimonia. 
Piccole aliquote di forze speciali sono a Herat, in Afghanistan; a 
Erbil, in Iraq; in Libano. Prossimamente saranno chiamati a uno sforzo 
maggiore in Iraq, quando la Difesa prenderà in carico la protezione del 
cantiere della diga di Mosul.
Sono loro, gli incursori, i 
destinatari di quel provvedimento di legge del dicembre scorso che li ha
 trasferiti dalla Difesa sotto l’ombrello giuridico dell’intelligence. E
 a partire da febbraio, dopo che il premier ha firmato il cosiddetto 
«decreto d’attivazione», con esplicito riferimento alla Libia, gli 
operatori delle forze speciali sono utilizzabili in qualsiasi istante e 
senza necessità di un voto parlamentare. Le operazioni «coperte» sono la
 loro specialità, ossia muoversi in territorio ostile, coordinandosi con
 altre forze speciali e con milizie locali, infiltrandosi in profondità.
 Basterà un ordine di palazzo Chigi, ovviamente in concorso con la 
Difesa.
 
