mercoledì 30 marzo 2016

Corriere 30.3.16
La deterrenza nucleare. Il caso della Libia
risponde Sergio Romano
Vorrei replicare a una sua risposta sulla deterrenza nucleare, in special modo alla sua affermazione secondo cui gli Stati ci pensano due volte prima di lanciare un attacco atomico sapendo che la controparte risponderebbe in maniera devastante. Forse questo equilibrio da guerra fredda è servito, ma ora non più se si aggiungeranno altri Stati e qualcuno «irresponsabile». Senza contare che noi ragioniamo da occidentali, ma altri ragionano diversamente. Faccio un solo esempio: Gheddafi, anni fa, voleva acquistare l’atomica e gettarla su Israele. «Basta — diceva — una sola bomba su Tel Aviv e il problema è risolto». A chi gli faceva notare che avrebbe ucciso due milioni di palestinesi, rispondeva: «Non importa, saranno contenti di sacrificarsi». Se queste sono le logiche!
Aldo Astrologo

Caro Astrologo,
Esistono nuclei di terrorismo suicida, in cui la logica religiosa del sacrificio prevale su qualsiasi strategia politica. Ma non credo che esistano oggi Stati suicidi, disposti a lanciare un primo colpo, se hanno l’arma nucleare, quando la vittima o i suoi alleati possono reagire con un secondo colpo, devastante e decisivo. Non è suicida la Corea del Nord e non era suicida neppure la Libia del colonnello Gheddafi. Affermazioni come quella citata nella sua lettera appartenevano alla retorica roboante di un leader che amava stupire, ma non era totalmente privo della capacità di calcolare le conseguenze delle sue iniziative.
Ne avemmo la prova quando, dopo parecchi anni di pericolose provocazioni (fra cui il programma per la costruzione di un ordigno nucleare e l’esplosione in volo, nel cielo scozzese di Lockerbie, di un aereo della Panamerican), decise di venire a patti con i suoi principali nemici e accusatori. Nell’aprile del 1999, undici anni dopo l’attentato di Lockerbie, Gheddafi accettò di consegnare a un tribunale scozzese i due sospetti e di indennizzare i parenti delle vittime. La Libia pagò un milione di dollari per ciascuno dei morti (259 persone a bordo, 11 persone a terra) e stanziò importanti somme per altri episodi di cui il Paese era responsabile: l’abbattimento di un aereo di linea francese nel cielo del Ciad, la bomba in una discoteca di Berlino nell’aprile 1986.
Dopo avere liquidato queste tre partite, Gheddafi ammise l’esistenza di un programma nucleare, aprì tutti gli impianti libici agli ispettori americani e fornì agli Stati Uniti le prove per identificare nello scienziato nucleare pachistano Abdul Qadeer Khan il padre della bomba libica. È probabile che la mossa di Gheddafi fosse dovuta principalmente al desiderio di ottenere la revoca delle sanzioni adottate contro la Libia dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Il colonnello aveva un ambizioso programma per la costruzione di enormi infrastrutture e sapeva che non avrebbe mai potuto realizzarlo senza gli investimenti e le tecnologie dell’Occidente. Anche l’accordo con l’Italia, firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 con Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, rientra in questa logica. Mi chiedo a quale logica appartenesse invece l’operazione militare voluta nel 2011 da Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti; una sventatezza di cui ancora paghiamo le conseguenze.