La Stampa 2.3.16
A Roma la “war room” anti-Isis che guiderà le azioni in Libia
Nel centro di coordinamento della coalizione si studia l’intervento
Il ministro Gentiloni: la pianificazione è a un livello molto avanzato
di Fra. Gri.
A
saper leggere tra le righe, il ministro Roberta Pinotti l’aveva detto
in Parlamento il 24 febbraio: «Stiamo coordinando la formazione della
forza di sicurezza e stabilizzazione libica che dovrà intervenire quando
sarà formato un governo». Per capire che cosa volesse dire, occorre
leggere un’indiscrezione riportata dal «Wall Street Journal» a margine
di un’intervista al generale Donald Buluc, comandante per le operazioni
delle forze speciali statunitensi in Africa: è già operativo a Roma un
Coalition Coordination Center, in sigla CCC, un comitato di
coordinamento della coalizione che combatte l’Isis.
Il CCC è una
«war room» in piena regola dove si pianifica l’intervento, dove si fanno
simulazioni, e da dove, in futuro, si guideranno le azioni. Il cervello
delle operazioni è a Roma, dunque. Come confermava indirettamente il
ministro statunitense della Difesa, Ash Carter, due giorni fa:
«L’Italia, essendo così vicina, si è offerta di prendere la guida in
Libia. E noi abbiamo già promesso che li appoggeremo con forza». Nel
frattempo è giunta la conferma ufficiale del ministro degli Esteri,
Paolo Gentiloni: «Il livello di pianificazione e di coordinamento è a un
livello molto avanzato e va avanti da parecchie settimane».
I
piani, comunque, sono pronti. Il perimetro della coalizione, anche: ne
faranno parte italiani, francesi, inglesi, americani, forse anche
olandesi.
Anche la road map politico-diplomatica che porterà
all’intervento è nota: prima si deve insediare un governo sotto l’ala
delle Nazioni Unite, che però tarda a vedere la luce, dopodiché Tripoli
dovrà chiedere assistenza militare, e a quel punto si partirà. Per
Gentiloni, questi passaggi non si possono saltare. «La comunità
internazionale è pronta a intervenire, ma solo di fronte ad una
richiesta del governo libico. Questa la condizione. Non mi farei troppo
influenzare da fremiti e tamburi interventisti».
C’è sul tavolo,
infatti, un’ipotesi subordinata. Se i libici non dovessero trovare
l’accordo, comunque qualcosa succederà per frenare l’espansione
dell’Isis. Però l’Italia invita alla cautela. A raffreddare lo slancio
in avanti è proprio Renzi, che ieri sera al Tg1 ha rilasciato una
dichiarazione piena di cautele: «Abbiamo un rapporto solido con gli Usa.
Ma prima di partire in missione occorre mettere in atto tutti i
tentativi per formare un governo». Le opposizioni unite chiedono intanto
al governo di presentarsi in Parlamento a riferire.
C’è da
intendersi, però, su che cosa prevedono i piani d’intervento su cui si
lavora nella «war room» a Roma. Di sicuro non ci sarà un’invasione della
Libia, bensì una guerra segreta, affidata a reparti speciali - in
stretto coordinamento con le milizie armate libiche a cui è demandato il
lavoro sporco, ovvero la bonifica del loro Paese da foreign fighters e
accoliti del Califfato - con l’appoggio di raid aerei occidentali.
In
questo senso, è più intelligibile l’accordo italo-statunitense del mese
scorso sull’uso di droni armati di stanza a Sigonella, a protezione del
personale militare schierato contro l’Isis. Personale statunitense,
italiano e non solo.
Della presenza sul campo di forze speciali
americane, francesi e britanniche ci sono ormai fin troppe segnalazioni.
L’Italia non schiera nessuno, salvo personale di intelligence. Le forze
speciali degli eserciti Nato, però, sono straordinariamente amalgamate
dopo la guerra di Afghanistan. E da qualche tempo, in vista delle
operazioni libiche, hanno anche preso ad addestrarsi assieme in Italia.