il manifesto 2.3.16
Missione in Libia, Italia alla guida
Nord
Africa. Secondo l'israeliano Debka File, l'operazione potrebbe partire a
fine aprile e sarebbero già in corso addestramenti tra marina egiziana e
portaerei De Gaulle. Il Pentagono affida all'Italia la guida della
coalizione
di Chiara Cruciati
L’Occidente si
affolla lungo le coste libiche. Aumentano le truppe, aumenta la
pressione militare. Dopo le rivelazioni di Le Monde riguardo la
partecipazione dei soldati francesi agli scontri via terra a Sabratha e
Bengasi, Parigi manda la portaerei De Gaulle di fronte alle spiagge
libiche.
Lo rivela Debka File, sito di informazione militare
israeliano: sarebbero in corso addestramenti congiunti con la marina
egiziana, che nel Canale di Suez impiega la fregata Tahya Misr, dotata
di sistema missilistico antiaereo. Torna così a galla, prepotentemente,
il ruolo del Cairo, burattinaio del generale Haftar e di conseguenza del
riottoso parlamento di Tobruk.
E all’Italia l’ordine arriva
direttamente dal Pentagono: lunedì Ashton Carter ha dato la benedizione
alla formazione di una coalizione guidata da Roma che si lanci in una
nuova avventura libica. Il segretario alla Difesa Usa ha detto che
Washington «appoggerà con forza» l’Italia che «si è offerta di assumere
la guida in Libia». Ovvero la guida di una coalizione che intervenga
contro l’avanzata dello Stato Islamico e metta in sicurezza i giacimenti
petroliferi.
Su questo punto Carter ammette le riserve libiche:
«Ai libici non piace l’idea di un intervento esterno straniero e che
qualcuno entri nel paese per prendersi il petrolio. Ma quando il governo
sarà nato, speriamo presto, chiederà l’aiuto internazionale».
La
conferma è giunta ieri dal ministro degli Esteri Gentiloni: «Il livello
di pianificazione e di coordinamento tra i diversi sistemi di difesa su
un possibile contributo alla sicurezza della Libia è a un livello molto
avanzato che va avanti da parecchie settimane». L’Italia, ha aggiunto, è
pronta ad intervenire su richiesta del nuovo governo libico.
Richieste
ufficiali o meno, siamo già sul piede di guerra: da oltre un mese
l’Italia ha messo a disposizione degli Usa la base di Sigonella per
lanciare azioni contro l’Isis. Azioni meramente «difensive», specifica
il governo di Roma senza spiegare però cosa significhi auto-difesa nel
caso di un gruppo jihadista che opera in un altro paese. Così si è
giunti, senza autorizzazione né internazionale né tantomeno libica, al
raid su Sabratha del 19 febbraio. In più, come spiega al Wall Street
Journal il generale Bolduc, comandante delle forze speciali Usa in
Africa, a Roma è già stato inaugurato il Centro di Coordinamento della
Coalizione.
L’operazione è già sul tavolo. Le fonti militari
citate da Debka File raccontano di una campagna in fieri e vicina alla
sua definizione: «Le navi da guerra egiziane si sono spostate nel
Mediterraneo dopo che il presidente francese Hollande e l’egiziano
al-Sisi sono avanzati nei piani di attacco congiunto con l’Italia alle
postazioni Isis in Libia. I tre poteri si sono accordati per lanciare
l’offensiva tra fine aprile e maggio».
Intanto la Germania è
pronta ad inviare in Tunisia, dice il governo di Tunisi, unità speciali
che addestrino le truppe libiche a combattere l’Isis. E, notizia di
ieri, la Gran Bretagna ha mandato 20 uomini ad addestrare i militari
tunisini alla sorveglianza della frontiera con la Libia e ad impedire
sul campo l’infiltrazione di miliziani islamisti.
Il fronte
Parigi-Roma-Il Cairo potrebbe fare da testa d’ariete dell’intervento
occidentale, bramato da molti e in stallo per le difficoltà dei
parlamenti di Tobruk e Tripoli a trovare un accordo definitivo sul
governo di unità nazionale. A frenare è soprattutto Tobruk, l’esecutivo
riconosciuto dalla comunità internazionale, che non ha ancora dato l’ok
alla proposta mossa dal premier designato al-Sarraj.
Anzi, ieri
per la seconda volta in due settimane non si è espresso per mancanza del
quorum necessario al voto. Non sono pochi quelli che immaginano che
dietro ci sia il boicottaggio del generale Haftar e quindi del Cairo,
intenzionati ad ottenere maggiore influenza sul governo che nascerà.
Se
ad aprire le danze in Libia sarà il cane a tre teste (francese,
egiziana italiana), si prefigura un radicamento dello speciale rapporto
che lega il nostro paese al generale golpista al-Sisi. A farne le spese
potrebbero essere le indagini sulla brutale uccisione di Giulio Regeni,
già ostacolate dalle autorità egiziane.
Sul piano internazionale
le preoccupazioni riguardano il possibile tracollo della Libia se
costretta a subire un nuovo intervento internazionale: il primo spazzò
via il sistema istituzionale del paese, scoperchiando il vaso di Pandora
di poteri tribali, paramilitari, secessionisti, islamisti. E il secondo
non promette nulla di buono: difficile che chi ha combinato il
pasticcio ora ci metta una pezza. Più probabile che la capacità
attrattiva dei gruppi jihadisti trovi nuova linfa e che le svariate
autorità che gestiscono un paese a pezzi ostacolino l’accidentato
percorso verso la stabilizzazione.